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Nel mese di aprile del 1939, l’Italia occupò l’Albania ponendo in seria preoccupazione la Grecia per la propria sicurezza.
Il governo greco diretto allora dal generale Ioannis Metaxas, venne rassicurato da Mussolini che l’Italia non aveva alcuna intenzione aggressiva nei confronti della Grecia confermando il patto di amicizia firmato con la Grecia nel 1928.
Il successivo scoppio della seconda guerra mondiale in Europa nel settembre 1939 non cambiò questa posizione e Italia, Grecia e Turchia dichiararono prontamente la loro neutralità.
Di conseguenza, fino all’estate del 1940 non vi erano ostilità tra Italia e Grecia, neppure nelle isole del Dodecaneso italiano.
Tuttavia, dopo la caduta della Francia e la dichiarazione di guerra dell’Italia nei suoi confronti nell’estate del 1940, questa situazione cambiò drammaticamente.
Il 15 agosto 1940 avvenne il primo scontro tra Italia e Grecia quando un sommergibile italiano non identificato affondò l’incrociatore greco Elli in prossimità di Tinos durante le festività religiose in onore dell’Assunzione della Beata Vergine (cosiddetta “Panagias”).
In ottobre, dopo un incidente di frontiera preparato ad arte, fu presentato a Metaxas il famoso ultimato che egli respinse istantaneamente, dando così la scusa per iniziare l’invasione italiana.
Churchill descrisse la risposta greca come “l’ora più bella”, poiché con questo atto la Grecia entrò per prima e volontariamente a combattere al fianco degli Alleati.
In poco tempo i Greci intrapresero l’offensiva e respinsero gli Italiani in Albania, conquistando le principali città del nord Epiro, Koritsa e Argyrocastro, entrambe abitate da una preponderante popolazione di etnia greca.
All’inizio del 1941, i successi greci portarono ad un’inusuale unità del popolo greco con i loro governanti.
Tuttavia l’inattesa scomparsa di Metaxas a fine gennaio 1941 fu come un segnale premonitore delle sciagure che sarebbero ben presto seguite.
Hitler fu infine costretto ad impegnare la Germania ad aiutare gli Italiani che erano rimasti in una situazione di stallo con i Greci in Albania.
Nel lontano Dodecaneso, l’attività militare degli Italiani si limitava al rafforzamento delle loro posizioni militari in ciascuna delle isole in caso di futuri scontri.
La conclusione catastrofica dell’intervento italiano in Albania produsse negli Inglesi, verso la fine di novembre 1940, l’idea di tentare un attacco in Dodecaneso dal momento che gli italiani avevano temporaneamente alleggerito la loro presenza militare nel possedimento, per correre in difesa dell’Albania.
Il 21 novembre 1940 l’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante in capo del Mediterraneo, scrisse all’ammiraglio Dudley Pound, preposto alle attività marittime nella camera dei Lord, dicendo, tra le varie cose, che il Dodecaneso sarebbe stato una facile conquista.
Cunningham suggerì a Pound che delle unità di commandos potevano probabilmente essere usate per operazioni in Dodecaneso in piccola scala.
Fu così, che Castelrosso fu identificata come conquista iniziale per la successiva conquista di tutto il resto del Dodecaneso.
Delle note relative ad un incontro tra i più alti gradi della struttura militare britannica descrivevano Castelrosso come un’isola che poteva fungere come un territorio avanzato per lo sbarco e per l’installazione di una base aerea per le future operazioni contro il Dodecaneso.
Circa l’effettiva cattura dell’isola, un osservatore fece notare che la via più facile per la cattura dell’isola, sarebbe soltanto quella di attendere un’alleanza con la Turchia e quindi occuparla dalla terraferma, visto che l’esigua guarnigione poteva essere sgominata con questo strattagemma, anziché con un attacco militare con personale addestrato.
Lo stesso Churchill pensò che attacchi militari ad isole minori, come Castelrosso, fossero da evitare almeno prima che fosse lanciato un attacco massiccio su tutto il fronte, poiché questo avrebbe probabilmente scatenato delle gelosie tra Grecia e Turchia.
Churchill, invece, avrebbe piuttosto optato a sferrare un attacco sull’isola di Pantelleria, con una miglior posizione strategica tra Tunisia e Sicilia.
Cunningham invece non fu assolutamente d’accordo e insistette fortemente per effettuare delle azioni combinate nel Dodecaneso agli inizi del 1941.
Alla fine, prevalse la posizione di Cunningham che persuase lo stato maggiore di Londra a deliberare incursioni in piccola scala nelle isole più esterne del Dodecaneso, purché queste operazioni fossero il preludio per una più imponente invasione dell’isola di Rodi, già programmata per l’aprile del 1941.
Inizialmente, Cunningham pensava di organizzare l’insediamento di batterie costiere a Caso, consentendo così di dominare l’accesso al campo di atterraggio aereo di Scarpanto per poi piazzarle ad entrambi i lati dello stretto di Caso.
La sera del 16 gennaio 1941, venne tentato un primo infruttuoso tentativo di sbarcare le batterie costiere a Caso, che fallì quando i commandos britannici si trovarono di fronte all’opposizione italiana.
Successivamente, Cunningham mise gli occhi su Castelrosso che fino a quel momento era sempre rimasta al di fuori di qualsiasi attività bellica e che contava una difesa di soli 50 soldati.
Poiché Castelrosso si trova ad una considerevole distanza da Rodi, Cunningham credeva, erroneamente come si è scoperto dopo, che gli Italiani non sarebbero stati in grado di lanciare un contrattacco e che quindi l’isola sarebbe stata conquistata.
Inoltre, Cunningham credeva, correttamente in questo caso, che l’isola sarebbe stata utile come base per le motosiluranti di supporto alle prossime operazioni in Dodecaneso.
Infine, l’isola sarebbe stata occupata sperando che nel frattempo anche la Turchia sarebbe scesa in guerra al fianco dell’Inghilterra, in quanto contemporaneamente al momento programmato per l’invasione, Anthony Eden, segretario agli affari esteri, e il generale John Dill sarebbero stati in missione ad Ankara per persuadere la Turchia ad entrare in guerra.
In quella circostanza, nessuno poteva minimamente immaginare che l’incursione su Castelrosso si sarebbe conclusa con un clamoroso fallimento per delle casualità in entrambi gli schieramenti che portarono poi ad un’interrogazione governativa ad alto livello, ordinata dallo stesso Churchill.
Il piano d’assalto (nome in codice “Abstention”, astensione, o “Pitch”, lancio) fu infine approvato lunedì 24 febbraio 1941.
La forza consisteva di 200 commandos bene addestrati che avrebbero dovuto sbarcare sull’isola in prossimità di Punta Nifti dagli incrociatori Decoy e Hereward, poco prima dell’alba del 25 febbraio 1941.
La forza d’attacco doveva immediatamente occupare il porto e certi punti strategici come il palazzo della Dogana e della Delegazione del Governo e la stazione radio, con l’assistenza di un’imbarcazione armata appositamente programmata per arrivare immediatamente dopo l’avvenuto sbarco.
I commandos dovevano avere con sé viveri sufficienti per le prime 48 ore di occupazione e quindi sarebbero stati rilevati dopo 24 ore da una guarnigione d’occupazione permanente composta dal corpo degli Sherwood Foresters, al momento di stanza a Cipro.
Poiché non ci sarebbe stato alcun supporto aereo a sostenere l’incursione, fu convenuto che la RAF avrebbe bombardato gli aeroporti tedeschi e italiani a Rodi, come azione diversiva, nelle notti del 25/26 e del 26/27 febbraio, quando l’invasione sarebbe stata al suo apice.
Le informazioni sulla difesa militare dell’isola erano particolarmente scarse.
La maggior parte delle informazioni a disposizione erano state per lo più raccolte da fonti francesi del periodo in cui l’Air France utilizzava il porto di Castelrosso, circa a metà degli anni ’30, come base per i suoi idrovolanti da carico.
In aggiunta, gli Inglesi possedevano una carta nautica e qualche cartolina illustrata italiana e altre scarse informazioni ottenute dall’Ammiragliato (ndr: corrispondente al nostro Ufficio Idrografico della Marina Militare) e queste erano le uniche informazioni disponibili per organizzare l’attacco.
Per questo motivo, l’ufficiale in carica per questa operazione, il contrammiraglio E. de F. Renouf, decise che lo sbarco avvenisse di notte.
L’attacco fu affidato agli uomini del 50 Middle East Commando, una forza speciale che si era addestrata in Egitto e che faceva base a Creta per le incursioni nel Dodecaneso.
Nel complesso, i commandos avevano un armamento leggero portando con sé per questa specifica operazione, soltanto tre bren, 70 fucili, 18 tommy mentre il restante armamento consisteva di 45 pistole mausers e vari coltelli.
La sera del 23 febbraio, i commandos, che erano di stanza a Candia (Iraklion) si imbarcarono sugli incrociatori Decoy e Hereward che alle ore 01.00 di lunedì 24 febbraio partirono in direzione di Castelrosso.
Era stata tracciata una rotta che passava attorno alla parte occidentale di Creta, anziché dalla parte orientale che dà verso lo stretto di Caso, allungando così il percorso di 160 miglia e rendendo perciò necessario mantenere una maggior velocità.
In seguito, questa fu una concausa per la quale gli incrociatori rimasero a corto di carburante, proprio in un momento critico.
Tutto il giorno 24 febbraio è stato impiegato dagli incrociatori per raggiungere Castelrosso, mentre i commandos si preparavano a bordo per l’incursione notturna.
La mattina presto del 25 Febbraio gli incrociatori vennero guidati verso Punta Nifti seguendo le luci del sommergibile Parthian.
Iniziò, così, lo sbarco dei commandos.
Poiché la consistenza delle difese italiane e l’esistenza di eventuali batterie costiere e riflettori di ricerca non era conosciuta con precisione dagli attaccanti, c’era molta tensione e perciò le navi fermarono le macchine ed iniziarono ad ammainare le lance a circa 200 metri dalla linea costiera attorno a Punta Nifti.
Per trasportare i soldati a terra c’erano a disposizione 10 baleniere (tipo di lance a remi lunghe e maneggevoli normalmente usate in Atlantico per la caccia alle balene).
Tuttavia, nel buio più fitto, le dieci baleniere si sparpagliarono e la maggioranza di loro sorpassò il punto fissato per lo sbarco remando fino all’interno della bocca di porto.
Un ufficiale che partecipò alla prima ondata di sbarchi, ricorda quanto segue:
” E’ importante notare che il timoniere che ci conduceva verso il punto convenuto di sbarco era un regatante della squadra di canotaggio della marina.
Io mi trovavo con lui nella prima barca mentre tutti gli altri ci seguivano con cieca fede nella navigazione decisa da un così qualificato esponente della marina.
Proseguimmo lentamente fino a quando intravvedemmo delle sagome scure di alcune costruzioni che si materializzavano gradualmente ad entrambi i lati e qualcuno esclamò: ” Ma dove diavolo siamo finiti ? Ci avevano detto che la zona di Punta Nifti doveva essere completamente disabitata ! ”
Quasi immediatamente sentimmo un’intimazione in italiano seguita da una raffica di proiettili provenienti da armi portatili leggere, tutto intorno a noi.
Il nostro timoniere della squadra di canotaggio della marina, con un singolare aplomb che gli derivava dal suo lungo stato di servizio come marinaio, gridò: ” Remate più a fondo con quelle pagaie, bastardi ! “.
Remando a tutta forza ci guidò indietro oltre alcune distanze oltre l’incrociatore Decoy. ”
L’ufficiale al comando della seconda baleniera, ricorda invece questo evento nei seguenti termini:
” Entrammo nel porto più silenziosamente possibile e ammainammo le barche dai blocchi ben lubrificati.
La remata procedeva con coordinazione e le baleniere che erano state prima ben preparate in ogni dettaglio per raggiungere terra, andavano avanti silenziosamente ciascuna carica di truppe da sbarco e da due o tre marinai per riportarle alla nave per la successiva ondata di sbarchi.
Al primo sbarco, la prima imbarcazione in testa alle altre procedeva troppo lentamente e perciò le barche successive urtavano tutte una contro l’altra, accumulandosi attorno alla nostra.
Segnalai all’ufficiale della prima barca di procedere più velocemente.
Sfortunatamente, accelerò troppo in fretta e l’abbrivo le impedì di ridurre nuovamente la velocità e così mi ritrovai col dilemma se continuare a seguirla a vista o se rimanere indietro con i ritardatari.
Cercando di fare il mio meglio per entrambe le situazioni, mi ritrovai in pratica a non aver fatto né l’una, né l’altra cosa, perdendo di vista sia le imbarcazioni dietro di noi che quella di fronte.
Riuscii comunque a raggiungere il punto fissato per lo sbarco dove vidi le nostre truppe, ma le altre imbarcazioni si persero per strada, furono viste dal nemico e bersagliate, sebbene anche loro riuscirono, infine, a sbarcare i loro uomini in latri punti lungo la costa. ”
La confusione creatasi nello sbarco della prima ondata di commandos, creò la situazione che solo le prime due barche raggiunsero correttamente il punto prefissato per lo sbarco, sbarcando lì i loro cinquanta uomini, ma otto delle restanti baleniere si persero nel buio.
Queste otto imbarcazioni oltrepassarono Punta Nifti ed entrarono direttamente in porto dove furono scoperte e bersagliate.
Anche i commandos sbarcati dalle prime due barche, furono oggetto di uno scontro a fuoco mentre si avvicinavano alla città lungo il sentiero che la congiunge a Punta Nifti.
Qui, due militari italiani furono uccisi immediatamente e uno ferito gravemente.
I tre marinai erano stati inviati in avanscoperta dalla stazione di vedetta di Monte Vigla, dopo aver avvertito gli spari in zona portuale.
Passando in prossimità della casa del segretario del Delegato situata nella zona costiera del Mandracchio, i marinai in perlustrazione avevano allertato la sua famiglia di restare in casa perché qualcosa stava per succedere.
Sfortunatamente per loro, da lì a pochi minuti avrebbero incontrato sulla strada gli Inglesi che si avvicinavano, scontrandosi con loro.
Uno dei due marinai caduti era il sottocapo Eligio Troiano, già citato nella nostra introduzione.
Il ferito era il marinaio Boscolo oggetto dell’atto coraggioso della maestra Anastasia Arnaoutoglou che si interpose agli Inglesi salvandogli la vita e per questo fu in seguito decorata con la medaglia di argento al valor militare.
Alle ore 04.15 si sentirono dei colpi di sparo di fucile provenienti dalla zona del porto e alle 05.00 le otto baleniere dell’operazione originaria rientrarono alle navi senza aver sbarcato nemmeno un uomo.
Alle 05.15 l’ufficiale in comando inviò ulteriori quattro baleniere per cercare di rintracciare la posizione del solo gruppo che era riuscito a sbarcare con l’intenzione di reimbarcarli, visto che ormai il fattore sorpresa della missione non era riuscito.
Rimasto a quel punto senza alternative, l’ufficiale in comando decise di continuare l’operazione ordinando di sbarcare l’intera forza.
Poiché c’era già la luce diurna, gli Italiani erano ormai a conoscenza dell’operazione e il tempo era l’essenza di questa missione che era ormai compromessa.
Alle 06.20 tre barche sbarcarono a terra un ulteriore squadra di commandos che proseguirono a supporto del primo gruppo.
Gli sbarchi continuarono per un’altra ora.
Alle 06.40 fu sparato dal castello un faro di color verde dal primo gruppo, ad indicare che avevano conquistato il controllo di quel punto.
L’intera guarnigione italiana, composta da soldati, marinai, pochi carabinieri e finanzieri, appena saputo dello sbarco inglese, si asserragliò prima a Monte Vigla e quindi a Paleocastro, preparandosi ad una strenua difesa.
Il diario personale con le preziose testimonianze del capoposto della stazione di vedetta di Monte Vigla, secondo capo Fresu, di origine sarde, è andato purtroppo smarrito (forse delle fotocopie dello stesso, mai pubblicate, sono rimaste in mano di qualche editore storico).
Nel suo diario, il capoposto descriveva con quanta tenacia è stato respinto dagli Italiani l’attacco inglese, sfatando le dicerie comuni tra i combattenti Inglesi secondo le quali gli Italiani sarebbero codardi e poco inclini al dovere militare.
Poco armati per la difesa, gli Italiani coraggiosamente raccoglievano prima dell’esplosione le bombe a mano lanciate oltre la barricata dagli Inglesi, per rilanciarle contro gli assedianti.
Talvolta accadeva però che le bombe esplodessero nelle stesse mani di chi le aveva raccolte, con conseguenze agghiaccianti.
Le perdite umane della piccola guarnigione italiana furono sproporzionate.
Nella sua testimonianza, il narratore smentisce anche la circostanza, teorizzata successivamente da altre fonti italiane, secondo la quale i preziosi codici cifrati per le telecomunicazioni di guerra sarebbero stati presi dagli Inglesi in quell’occasione .
Fresu afferma invece che i codici segreti siano stati bruciati per tempo poco prima dell’assedio inglese e tale testimonianza è anche suffragata da altre successive testimonianze dei combattenti che vennero a rilevare gli italiani sconfitti..
La stazione radio fu infine occupata dagli Inglesi come pure il palazzo della Delegazione del Governo all’entrata del porto, il palazzo della Dogana e le piccole baracche dove all’epoca erano ubicati gli uffici dell’Air France in zona portuale.
Gli attaccanti scoprirono infine che, fortunatamente per loro, non vi era alcuna batteria costiera in difesa dell’isola.
L’incrociatore Decoy che nel piano originario avrebbe dovuto rimanere più a lungo in rada durante la missione a Castelrosso in assistenza dei commandos, si trovò a corto di bunker a causa del maggior percorso effettuato all’arrivo per aver transitato at Ovest di Creta, anzichè ad Est, e decise pertanto di dirigere anticipatamente verso Alessandria d’Egitto per il rifornimento e per imbarcare il contingente dei Sherwood Foresters che avrebbero dovuto in seguito sostituire i commandos.
Verso le ore 06.15 circa, la cannoniera Ladybird arrivò a Castelrosso come da programma per assistere i commandos nella conquista di Paleocastro.
Nonostante fosse stata oggetto di colpi di fuoco da parte di un piccolo gruppo di Italiani rimasti isolati a Santo Stefano, la nave Ladybird iniziò presto a far fuoco su Paleocastro dove si era asserragliato il grosso della guarnigione italiana.
Mentre una compagnia di commandos conquistava il forte, un’altra compagnia occupava altri importanti edifici della città, mentre la restante altra metà della compagnia si arrampicava sulle vette di fianco di Paleocastro per prevenire ogni via di fuga degli Italiani sulle altre colline al centro dell’isola.
Prima delle 10.00, dopo un’accanita difesa, gli Italiani si arresero e furono subito fatti prigionieri dagli Inglesi.
Da un primo frettoloso controllo fatto al momento, risultava che sei Italiani erano caduti in combattimento, sette erano rimasti feriti e 35 fatti prigionieri.
I commandos poterono anche sequestrare dagli Italiani molte armi, munizioni, viveri e benzina.
Alle 10.00 in punto la bandiera Britannica fu issata sul palazzo del Governatorato situato all’entrata del porto.
Poco dopo, anche il battello postale italiano proveniente da Rodi fu immediatamente catturato e la posta venne confiscata assieme ad ogni altra proprietà.
Non era compito dei commandos riorganizzare la difesa dell’isola in caso di un eventuale contrattacco.
Questo compito era reso ancora più difficile dal fatto che, appena lo sbarco fu completato, apparve sul porto un aereo italiano.
Approssimativamente verso le 09.50, dei caccia CR42 seguiti da dei bombardieri Savoia 81 attaccarono l’isola concentrandosi sul versante che conduce verso Paleocastro e attaccando la Ladybird che nel frattempo si era ormeggiata in porto.
La Ladybird fu subito colpita verso poppa e alcuni membri dell’equipaggio rimasero feriti seriamente.
Poiché la permanenza della nave in porto sarebbe stata troppo pericolosa , salpò in tutta fretta verso Cipro, lasciando così soli i commandos e totalmente sguarnita la protezione dell’isola via mare.
Tra le 11.00 e le 13.00 continuarono i bombardamenti.
Gli obiettivi erano Paleocastro e il versante nord del porto.
Le mitragliatrici catturate agli Italiani a Paleocastro aiutarono i commandos ad abbattere due bombardieri italiani, uno al largo della costa occidentale dell’isola e l’altro approssimativamente ad un miglio a nord di Punta Nifti.
Fu colpito anche uno dei caccia CR42 che fu visto ripartire dall’isola non in perfetto controllo.
L’equipaggio dell’aereo bombardiere abbattuto nelle vicinanze di Punta Nifti tentò di raggiungere a remi un isolotto nelle acque territoriali turche e fu soccorso da un piccolo battello turco e da un idrovolante della Croce Rossa italiana che riportò gli uomini a riva.
I bombardamenti e i colpi di mitraglia seguirono per tutto il giorno fino alle 16.30 del pomeriggio senza alcun danno per le truppe britanniche o per i civili.
In prima serata, i commandos si ritenevano ormai abbastanza soddisfatti dei risultati del giorno avendo realizzato il completamento dell’invasione dell’isola, avendo abbattuto tre aerei nemici e per essersi impossessati dei libri con cifrari diplomatici dalla cassaforte del Governatore che venne fatto prigioniero assieme ad altri 12 civili.
Dopo una giornata di successi, i commandos si organizzarono per il riposo notturno e alle ore 20.00 la maggioranza degli uomini si accamparono a Punta Nifti, mentre ufficiali e sentinelle prendevano posizione al Governatorato e nella casa del Governatore che era situata dalla parte opposta della baia.
Tuttavia, alle 21.00 due motosiluranti italiane accompagnate da altre due imbarcazioni armate entrarono in porto con dei riflettori di ricerca accesi e iniziarono a sparare sugli edifici che supponevano fossero occupati dai commandos.
La banchina del porto era quasi tutta coperta di proiettili perforanti.
Le forze britanniche non avevano previsto un contrattacco di tale portata poiché immaginavano che la loro marina avrebbe protetto l’isola da qualsiasi intervento italiano.
In questa azione, morirono tre commandos britannici e sette rimasero feriti.
Il maggiore Rose, comandante in seconda dei commandos, ricorda quanto segue:
” Lo stato maggiore dei commandos intendeva dormire negli uffici della Dogana mettendo di guardia un servizio di sentinelle.
Tutti erano piuttosto stanchi e iniziarono a dormire dalle ore 20.30.
Improvvisamente alle ore 21.00 si accese una luce abbagliante nell’intero edificio e nell’area esterna del porto circostante.
Si pensava che il nemico avesse lanciato dei fari a paracadute e che facessero dei bombardamenti di precisione.
Queste luci molto forti dovevano invece senza dubbio provenire da una nave da guerra che stava entrando ora in porto.
Dal momento che ci è servito per scoprire da dove proveniva la luce a quello dell’inizio del fuoco passarono pochissimi secondi.
I comandanti fecero appena in tempo ad uscire fuori mentre il soffitto e le pareti crollavano.
Seguirono molte sparatorie.
Prima di raggiungere una posizione sicura, corse lungo wualche strada laterale e inavvertitamente nel raggio di luce dei rifelltori di ricerca.
Ritornammo rapidamente sui nostri passi e ci dividemmo in diverse direzioni.
Ci furono delle difficoltà a riunire lo stato maggiore al buio lungo le strette stradine.
Da lì potemmo vedere la sagoma scura della nave attaccante ad una distanza di appena 150 metri circa con le luci di ricerca che si muovevano tutt’attorno come delle lunghe dita di luce che cercavano di localizzare le nostre truppe.
Il rumore e l’effetto esplosivo devastante è stato estremamente spaventoso. ”
A quel punto, fu abbastanza apparente ai Britannici, che qualcuno dei locali castelrossini doveva aver consigliato agli Italiani dove sferrare con precisione il contrattacco e i sospetti caddero ovviamente sull’ex podestà Lakerdis che, seppur di origine greca, sperava nella reimpostazione del controllo italiano sull’isola.
All’inizio, gli Italiani avevano pianificato un attacco dalla parte meridionale dell’isola.
Gli Italiani cambiarono obiettivo soltanto dopo aver ricevuto l’avviso di Lakerdis che l’assalto avrebbe dovuto preferibilmente essere reindirizzato verso l’area del porto e dopo che lo stesso Lakerdis vide svolgersi le operazioni dal ponte di una nave dando istruzioni al comandante italiano.
Il ruolo di Lakerdis servì a renderlo maggiormente inviso ad una fazione dei locali castelrossini.
In conseguenza dell’assalto italiano, il corpo principale dei commandos fu forzato a ritirarsi verso la località del cimitero mentre un’altra compagnia rimase tagliata fuori dall’altra parte del porto, nel retro della residenza del Governatore (ndr nelle vicinanze del sito ove è stato costruito l’attuale albergo).
La sera del 25 febbraio faceva molto freddo e pioveva e ciò peggiorò le cose per gli invasori.
Lo scopo del breve contrattacco italiano era quello di sbarcare un plotone di marinai armati di fucili e automatici.
Entrarono nel Governatorato sventrato e si precipitarono a bussare alle case sul lungomare del porto.
I residenti di origine italiana uscirono dai nascondigli e furono portati a bordo della nave utilizzando le numerose barchette ormeggiate in porto.
Gli italiani volevano anche recuperare i libri con i codici segreti che erano stati prima sequestrati al Governatore dai Britannici e demolire la loro stazione radio.
Riuscirono a realizzare il secondo obiettivo, ma non riuscirono ad ottenere i libri dei codici perché la cassaforte dove erano rimasti custoditi nella residenza del Governatore non si apriva più perché era rimasta danneggiata durante la sparatoria italiana ed era troppo pesante per portarla tutt’intera su una barca.
Ripartirono alle ore 02.00, la mattina del 26 Febbraio.
Dopo la partenza degli Italiani, le truppe occupanti ritornarono alle loro precedenti posizioni.
I bombardamenti continuarono per tutta la giornata successiva, ma meno intensamente.
Le forze che avrebbero dovuto venire a rilevare i commandos la mattina dopo come da accordi iniziali, non arrivarono.
Quel giorno fu indubbiamente un momento importante per tutti gli abitanti di Castelrosso.
In questa fase iniziale della guerra essi furono il primo nucleo del Dodecaneso ad uscire dal controllo italiano.
Nonostante la segretezza che copriva questa operazione, le notizie della liberazione di Castelrosso dagli Italiani raggiunsero tutto il mondo.
Negli Stati Uniti, la lega dei cittadini originari del Dodecaneso naturalizzati in America, inviò un telegramma congratulandosi con Churchill per il successo dell’operazione.
Anche tutta a stampa greca plaude alla conquista inglese di Castelrosso.
La notte del 26/27 febbraio trascorse quieta e senza incidenti.
Tutti i commandos dormirono a Punta Nifti tranne le sentinelle e le pattuglie di sorveglianza.
Allora, per i commandos iniziavano a scarseggiare i viveri ed erano piuttosto arrabbiati per il mancato arrivo delle forze che dovevano venire a rilevarli.
Vi era qualche reale possibilità di un contrattacco proveniente dal mare e i commandos erano ormai demoralizzati.
Per il cibo, essi contavano su qualche sacchetto di gallette biscottate italiane che avevano sequestrato a Paleocastro.
La mattina del 27 alle ore 09.00, in prossimità della costa turca furono avvistati due incrociatori italiani diretti verso l’isola.
In quel momento delle pattuglie di commandos erano state dislocate in giro per l’isola per controllare le spiagge e segnalare l’avvicinamento delle forze tanto attese che dovevano venire a rilevare il contingente.
L’arrivo in porto degli incrociatori italiani causò il panico tra i commandos inglesi e ben presto truppe italiane presero terra infiltrandosi lungo le calli e le viuzze che collegano il centro del porto a Paleocastro e verso il cimitero.
Iniziò anche un bombardamento aereo che rese ancora più difficoltosa la posizione delle truppe britanniche.
A mezzogiorno, alle due compagnie inglesi rimaste isolate, una al cimitero e una al posto di sbarco, non rimase altra scelta se non quella di ritirarsi scalando la cima dello strapiombo che domina Punta Nifti, conosciuto localmente con il nome di Avlonia.
L’armamento dei commandos era leggero e non avevano abbastanza armi e forza numerica per mantenere il controllo della piccola zona costiera dove si erano accampati e per evitare il rischio di essere poi dimenticati dai loro stessi amici nel caso si fossero dispersi sui tanti strapiombi, decisero di ritirarsi tutti assieme sulla cima più alta.
Gli aerei e le navi da guerra italiane circondarono l’isola bersagliando qualsiasi militare britannico che scorgevano a breve raggio.
In tutto, furono sbarcati 250 soldati tra truppe da sbarco e Alpini riprendendo il controllo della maggior parte dell’isola, esclusa la piccola area dell’altipiano alle spalle del monte Avlonia dove si erano ritirati i Britannici.
Da lì, un impervio sentiero lungo un precipizio conduce ad una piccola spiaggia a circa 200 metri da Punta Nifti, sotto allo strapiombo che in quel punto è alto soltanto una trentina di metri circa.
Quando venne il buio, la situazione sembrava quasi disperata, ma i commandos decisero di resistere confidando che prima o poi la Royal Navy sarebbe infine arrivata per aiutarli.
La compagnia di Sherwood Foresters che avrebbe dovuto rilevare i commandos, partì finalmente da Alessandria d’Egitto alle ore 08.00 del 27 a bordo dell’incrociatore Decoy, arrivando al largo dell’isola poco prima di mezzanotte.
I commandos riuscirono a a farsi vedere dalle forze che avrebbero dovuto venire a rilevarli, accendendo dei fiammiferi e delle torce elettriche.
Data la situazione creatasi sull’isola, a bordo del Decoy si decise che non era prudente sbarcare gli Sherwood Foresters, ma era meglio, piuttosto, evacuare i commandos.
Infine fu deciso di attuare questo piano, sebbene qualcuna delle pattuglie rimaste in giro per l’isola non fosse ancora stata rintracciata nell’oscurità.
Qualcuno fu catturato il giorno dopo dagli Italiani, mentre qualcun altro tentò di raggiungere a nuoto la terraferma in Turchia.
Alcuni di quest’ultimi riuscirono poi ad essere rimpatriati, ma altri furono dati per dispersi.
Il pomeriggio del 1° Marzo 1941 i commandos recuperati, rientrarono a Creta.
Il fallimento dell’operazione Abstention ebbe delle pesanti ripercussioni ad ogni livello.
Senza dubbio, il fallimento dell’operazione non fu certo d’aiuto nella campagna di persuasione della Turchia ad entrare in guerra contro le potenze dell’Asse.
Era ovvio che qualcosa fosse andato storto proprio nella prima importante offensiva nel Mediterraneo orientale, sminuendo le aspettative di successo nei piani futuri della Gran Bretagna nel Mediterraneo.
Cunningham, l’artefice di questa operazione, chiarì nel comunicato datato 28 febbraio 1941 che l’incursione era da considerarsi solo come un tentativo isolato.
Lo stesso giorno, Churchill fu informato circa il comunicato di Cunningham sull’esito dell’operazione e trasmise immediatamente un telegramma ad Anthony Eden, Segretario agli Esteri al Cairo, dicendo:
” Sono piuttosto perplesso per qualcosa che ancora non sono riuscito ad accertare su quanto accaduto a Castelrosso.
Il rapporto su Castelrosso non spiega esattamente quanti uomini siano effettivamente sbarcati; dove sono sbarcati; quanto hanno percorso; cos’hanno fatto; che prigionieri hanno fatto; quante perdite hanno subito; come sia stato possibile che il nemico abbia potuto rafforzare la sua presenza dal mare nel momento in cui si supponeva che noi avessimo la supremazia marittima; quali sono state le forze navali e militari che hanno rafforzato il nemico; quando e da dove sono arrivati; com’è stato possibile che quando era già stata annunciata la conquista dell’isola, si sia scoperto solo allora che una grande nave da guerra nemica fosse entrata in porto; se abbiamo mai conquistato il porto e le difese attorno ad esso.
E’ cresciuta anche l’ansietà a causa dei numerosi attacchi aerei.
Questo era prevedibile ?
Da dov’è provenuto ?
Dagli Italiani o dai Tedeschi ?
Prego accertare questi dettagli.
Per queste ragioni è di vitale importanza capire l’intera sequenza di questo piano per Lei e i nostri militari. ”
Non è reperibile la risposta data da Eden a Churchill.
Il Comandante in Capo in Medio Oriente rispose in data 7 marzo 1941 dando maggiori informazioni sull’operazione, ma dando maggior risalto ai risultati sperati, anziché dire chiaramente che l’attacco nemico dal mare e lo sbarco di una forza molto superiore lo aveva costretto a ritirarsi dall’isola.
Ovviamente Churchill rimase molto perplesso dalle scarne informazioni ricevute e indirizzò quest’ulteriore lettera al Capo di Stato Maggiore generale Ismay:
” Mi sono state riferite solamente delle mistificazioni circa questa operazione ed è compito dello Stato Maggiore far maggior chiarezza.
Voglio sapere come sia stato possibile che la marina abbia consentito lo sbarco di così tanti rinforzi, quando in un affare del genere tutto dipende esclusivamente dalla capacità della marina di isolare tutta l’isola.
E’ necessario chiarire questo punto per impedire che questo possa ripetersi in occasione di operazioni più importanti.
Nessuno dovrebbe far preoccupare la nostra nazione che ci sostiene in qualsiasi maniera ed è pertanto indispensabile che simili situazioni non abbiano a ripetersi mai più. ”
Le precedenti interrogazioni di Churchill obbligarono Cunningham a dare ulteriori spiegazioni sull’operazione e i motivi per cui la marina non riuscì ad isolare l’isola e a rilevare i commandos.
Emersero così tutte le divisioni che esistevano tra esercito e marina e fu chiaro come ognuno si incolpassero fra di loro per questo insuccesso.
L’esercito puntualizzò che la vicinanza delle basi aeree nemiche a Rodi non permettevano una difesa dell’isola in grande scala.
Dall’altra parte, la marina replicava che la condotta dei commandos in questa operazione, aveva molto da desiderare.
Nella sua autobiografia, Cunningham riporta una lettera che in seguito avrebbe scritto al Primo Lord del Mare:
” La presa e l’abbandono di Castelrosso è un’operazione fallita che non dà credito a nessuno.
Gli Italiani sono stati incredibilmente intraprendenti e non solo bombardarono l’isola, ma colpirono con precisione gli obiettivi e sbarcarono loro truppe dagli incrociatori.
Per qualche imprevisto, non funzionò il sistema radio dell’esercito che si trovò così senza alcuna informazione su quello che stava succedendo.
Questi commandos erano armati leggermente e apparentemente non si potevano difendere se seriamente attaccati.
Avevo inviato ulteriori 25 marines armati di mitragliatrici a bordo del Ladybird, ma qualche pazzoide ha poi dato l’ordine di reimbarcarli.
L’unica cosa che possiamo dire è che da questa esperienza abbiamo imparato molto e che non ripeteremo gli stessi errori. ”
Queste divergenze e queste inconsistenti visioni dell’accaduto portarono inevitabilmente ad un’interrogazione convenzionata tra le varie parti in causa che ebbe luogo il 12 Marzo ad Alessandria d’Egitto.
Durante il procedimento, emerse che senza che Cunningham ne fosse a conoscenza, il Comandante in Capo dell’operazione, Renouf, non stava bene in quel momento e perciò l’esecuzione del piano operativo andò avanti in maniera pericolosa e scoordinata.
Ancor prima che i risultati dell’interrogazione fossero noti, Churchill insistette per scoprire le cause di questo disastro:
” Quali altre misure disciplinari dobbiamo prendere su questo deplorevole pezzo di operazioni sbagliate che sono accadute dopo ben 18 mesi di esperienza in guerra ? ”
Con l’interrogazione, vennero mosse nuove critiche sulle responsabilità della marina per non essere riuscita ad isolare l’isola.
Tuttavia i risultati finali dell’interrogazione non sono mai stati resi noti pubblicamente in quanto una regola Britannica prevede che certe informazioni di carattere militare non vengano divulgate prima che siano trascorsi almeno 100 anni dagli avvenimenti e pertanto tali risultanze potranno essere pubblicate non prima dell’anno 2041.
In totale nei quattro giorni dell’operazione morirono 14 militari italiani mentre i feriti furono 52.
Furono fatti prigionieri 12 italiani e fu confiscato un grande numero di armi e munizioni.
La stazione radio, la centrale elettrica il palazzo e la casa del Governatore furono seriamente danneggiate durante gli scontri.
Da parte Britannica i morti furono 5, 11 i feriti e 27 furono i dispersi durante la precipitosa evacuazione.
Di questi 27 dispersi, 7 non furono mai più rintracciati.
Come punizione per l’assistenza data da alcuni locali ai commandos Britannici, gli Italiani arrestarono 29 cittadini locali maschi sospettati di “attività contro lo stato” e furono deportati prima a Rodi, poi a Coo e infine a Brindisi per essere processati.
Molti di questi non ritornarono mai più nell’isola.
L’esodo della popolazione da Castelrosso continuò ininterrottamente.
La semplice morale popolare che si può ricavare da questo tragico evento a distanza di tanti anni nel continuo mutare dello scenario delle alleanze politiche e militari internazionali, può solo far riflettere sull’inutilità della guerra che in questo specifico episodio ha provocato morte e distruzione per tutti, siano essi Italiani, Inglesi, Greci, e sofferenze per la popolazione che aspira a vivere in maniera pacifica e dignitosa, arrivando alla conclusione che ogni nazionalismo, in fondo, si equivale nelle sue ambizioni e paure, e se qualcuno vuole proprio fare una guerra per risolvere delle controversie, è meglio se la faccia a casa sua.
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