Il Principe (1532)

Niccolò Machiavelli

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Οpera destinata all’uomo di stato, Il Principe di Machiavelli nasce invece lontano dalla scena politica, negli anni appartati dell’«L’Albergaccio», una villa della campagna attorno a San Casciano; il testo che più d’ogni altro avrebbe offerto una descrizione lucida e, secondo alcuni, spietata, nella sua «a-moralità», della gestione del potere, fu steso invece nel periodo della sconfitta e del confino.

L’«Albergaccio» era divenuto infatti il ritiro forzato di Machiavelli quando, nel 1512, i Medici di ritorno a Firenze avevano licenziato, accusato, calunniato e, infine, fatto arrestare il fedele servitore della Repubblica. Qui, tra il luglio e il dicembre 1513, Machiavelli tesse il trattato che, uscito postumo nel 1532, prima ancora dei contenuti, colpisce per l’esercizio letterario in cui ogni singolo movimento sintattico è meccanismo finissimo all’interno dell’unica coerenza testuale.

In 26 serrati capitoli l’autore organizza un’opera in cui Barberi Squarotti ha ravvisato la «perfetta struttura della tragedia»: dapprima la parti teoriche consacrate alla creazione e ai differenti modelli di principato (capp. I-XI), al problema delle milizie (dall’XI all’XIV), alla figura del principe (capp. XV-XXIII) e, in seguito, i tre capitoli in chiusura che focalizzano cause e motivi delle sconfitte dei principi italiani suggellati dall’esortazione finale a un’ideale guida che riprenda e risollevi le sorti patrie, compongono l’avventura perfetta dell’eroe classico.

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L’apparente asservirsi alla «fortuna», l’inerzia ostentata di fronte alla realtà sono da ricondursi dunque alla parabola del modulo tragico: il progetto politico, l’opera dell’uomo di stato si urta con la finitezza delle ipotesi e delle realizzazioni umane e ripete l’avventura del virtuoso che combatte, vince, ma inevitabilmente cede e cade dinnanzi all’evoluzione inaspettata e sovrumana degli avvenimenti.

E, forse, in questo solo movimento drammatico si può trovare la spiegazione di quella antitesi intravista da più studiosi in cui passione personale («affettività» scrive Chiappelli) e teoria si scontrano («momento drammatico di contrasto» scrive Chabod).

Sicuramente Il Principe è anche l’espressione di questo conflitto irrisolto, tra il politico di razza, carico di esperienze e di delusioni da una parte e, dall’altra, la necessaria esposizione logica, ancor più stridente se se ne contestualizza la stesura, mettendo cioè in luce il momento storico in cui le apparenti intenzioni di papa Leone X miravano alla creazione di un nuovo Stato da affidare ai nipoti.

Poteva essere infatti questa la rivincita del funzionario scartato che, armato della propria analisi critica, presentava gli ingranaggi del potere al nuovo reggitore, proiettando attese e visioni personali nella massima autorità, giustificando così tutte le osservazioni sulla cinica divisione che Machiavelli avrebbe operato tra morale e buon governo, tra essere e dover essere e via dicendo.

Ma la «classicità» de Il Principe, il suo distinguersi dalla pura trattazione politica risiede forse in quella volontà di descrivere, oltre le vicende di uomini e di stato, una condizione umana immutabile, l’impossibilità di adempiere fino in fondo i propri progetti e quindi di poter controllare l’evolversi delle cose ; condizione ancor più «tragica» se amplificata all’intera comunità che la politica deve gestire: colui che regge i destini della polis, deve fare i conti con un destino trascinante e non pianificabile.

I giudizi, nei quali si può talvolta ravvisare l’eredità della visione di De Sanctis, sul cinico trattamento riservato da Machiavelli al popolo e ai diritti del cittadino si ridimensionano se si affronta Il Principe con questa chiave di lettura; ripercorrendone cioè tutto il sentimento di ineluttabilità e di necessità che il testo lascia trasparire attraverso racconti, exempla, come anche da semplici aggettivi, innocui all’apparenza, ma distribuiti accortamente (Squarotti cita la serie di «costretto», «necessario» e «necessitati» che incontra) o ancora con congiunzioni causali, martellanti nel loro incedere : come il «perchè» esplicativo e irreversibile che scandisce la concatenazione degli eventi, secondo il quale si organizza lo spietato svolgersi della storia, spietato infine anche per lo stesso principe che tenta di conformarvisi.

Insieme ad altri scritti dell’autore, nel 1559 Il Principe fu inserito nella prima edizione dell’Index Librorum Prohibitorum dalla Santa Congregazione dell’Inquisizione Romana, sotto il papato di Gian Pietro Carafa, Paolo IV. (www.italialibri.net)

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