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Architettura civile e militare
Secondo le fonti archeologiche, le prime tracce di fortificazioni militari e di architettura civile in Sicilia risalgono alla fine dell’epoca arcaica, vale a dire alla fine del VI sec. a.C. Poche sono le vestigia anteriori a quel periodo benchθ sia presumibile l’esistenza di costruzioni militari giΰ a partire dall’VIlI sec., con l’inizio delle lotte tra le varie cittΰ e l’ascesa dei tiranni.
Fortezze e fortificazioni – Durante la dominazione dei tiranni la regione si arricchisce di edifici fortificati (fine del VI sec. a.C.), costruiti con materiali che variano a seconda delle ricchezze geologiche del suolo: sul versante orientale dell’isola infatti, viene comunemente usata la lava, come lo dimostrano i siti di Naxos e Lipari. Quando le pietre risultano insufficienti, vengono sostituite da mattoni a crudo con cui si erigono le mura, il cui isolamento dal terreno θ assicurato da una base costituita da sassi o da un impasto di ciottoli ed argilla.
Sebbene la Sicilia non abbia riportato alla luce numerosi resti archeologici, sussistono tuttavia alcune fortezze. Costruite in punti strategici nei pressi delle cittΰ o nelle immediate vicinanze, in luoghi difficilmehte raggiungibili, queste strutture assicurano la difesa delle cittΰ, delle strade e di altre vie d’accesso.
Tre grandi esempi architettonici testimoniano questo tipo di costruzione difensiva. Il Castello Eurialo, fortino eretto alla fine del V sec. a.C. e situato a nord-ovest di Siracusa, domina la strada principale che dalla cittΰ porta all’interno dell’isola. Nel IV e III sec. a.C., l’edificio viene ulteriormente fortificato con l’aggiunta di bastioni avanzati e di fossati e guarnito di cinque massicce torri. Ad est dell’isola l’antica cittΰ di Erice, che nel V sec. a.C. subisce una forte influenza greca, possiede ancora i suoi bastioni la cui base poligonale appartiene a quell’epoca. Le fortificazioni greche di Capo Soprano, che un tempo circondano l’intera collina di Gela, costituiscono un tipico esempio di bastioni in pietra e mattoni.
La cittΰ e la sua urbanizzazione – Le piante di alcune cittΰ siciliane, tutte strutturate in base al sistema ippodamiano, riflettono nettamente l’influenza della civiltΰ greca. L’urbanista Ippodamo di Mileto, filosofo e geometra greco del V sec. a.C., θ il promotore della pianta a scacchiera adottata nelle cittΰ greche, fondate secondo un modello costituito da due assi: il cardo (o stenopos in greco), orientato da nord a sud, ed il decumano maggiore (plateia in greco), orientato da est ad ovest. La rete viaria θ poi completata da altri cardi e decumani minori che formano una maglia ortogonale.
All’interno di questa pianta sono inseriti degli edifici ben precisi e varie aree:
– l’agorΰ rappresenta, come in tutte le cittΰ greche, la piazza principale e il centro della vita pubblica: nel periodo classico viene cinta da portici regolari,
– il pritaneo, ai margini dell’agorΰ, ospita l’insieme delle attivitΰ civiche,
– Iekklesiasterion (riservato all’ekklesia, vale a dire l’assemblea del popolo) θ un edificio pubblico profano in cui si svolgono le riunioni popolari. Quello di Agrigento θ oggi uno dei piω famosi risalenti a quel periodo. All’esterno della pianta urbana si estendono le costruzioni religiose e i settori a loro riservati, destinati a proteggere simbolicamente la cittΰ.
Architettura sacra
L’architettura sacra θ rappresentata da due tipi di monumento: il tempio e il teatro. Situati al di fuori delle cittΰ questi edifici devono essere visibili da lontano, motivo per cui dominano spesso uno splendido panorama.
I templi – A partire dall’VIlI sec. a.C. i coloni greci importano in Sicilia i loro culti e i loro dei trasformando l’isola in un luogo oggi considerato uno dei piω straordinari musei all’aperto di templi dorici, detti di “stile severo”. Il culto degli dei non necessita della costruzione di un tempio, dato che quest’ultimo costituisce solo un’offerta fatta da una o varie cittΰ e a volte da semplici privati.
Pianta – Al centro dell’edificio si trova il naos (cella), camera oblunga dedicata al dio. Davanti alla cella si trova il pronaos (sorta di anticamera) mentre, nella parte posteriore, l’opistodomos serve da camera del tesoro, completato a sua volta (o sostituito, come nel tempio G di Selinunte) da un adyton. Tutt’intorno si sviluppa un colonnato (peristilio).
Struttura – Il tempio θ composto da uno stilobate (basamento) su cui poggiano le colonne, che a loro volta sostengono una trabeazione. I lati piω piccoli presentano un frontone triangolare che permette di definire l’inclinazione del tetto a doppia falda, ricoperto di tegole. Questa sovrapposizione di elementi diventa rapidamente una regola di costruzione applicata poi negli anni successivi.
Stile – Lo stile dorico conosce il suo massimo splendore in Sicilia. Nato nel Peloponneso, si diffonde nella Grecia continentale e conseguentemente nei paesi colonizzati, tra cui la Sicilia, dove esercita una forte influenza. La colonna dell’ordine dorico, che unisce imponenza e sobrietΰ, possiede 20 scanalature verticali (a partire dal V sec.) e viene innalzata senza alcuna base, direttamente sullo stilobate. Il capitello che la sormonta, privo di decorazioni scolpite, θ formato da un semplice cuscinetto rotondo (echino) sovrastato da un abaco (elemento quadrato su cui poggia la trabeazione). La trabeazione dorica θ costituita da un architrave liscio, coronato da un fregio in cui si alternano metope (pannelli generalmente costituiti da bassorilievi scolpiti) e triglifi (pannelli che presentano due profonde scanalature verticali al centro e altre due piω piccole ai lati).
Nel VI sec. a.C., quasi tutti i templi edificati in Sicilia sono peripteri (vale a dire cinti da una fila di colonne) ed esastili (la facciata comprende 6 colonne), sebbene alcuni ne possedessero piω di sei, come il tempio G di Selinunte.
Proporzioni – Per la semplicitΰ della sua struttura e la perfetta armonia delle sue proporzioni, l’architettura del tempio θ considerata il prototipo della bellezza ideale. Le sue misure vengono definite da un modulo convenzionale, calcolato in base alla dimensione del raggio medio della colonna che influisce maggiormente sulla struttura del monumento.
Gli architetti, constatata la tendenza dell’occhio umano a deformare le linee degli edifici di grandi dimensioni, pensano di arrecarvi alcune correzioni ottiche. Le trabeazioni, la cui parte centrale sembra leggermente cedere verso il basso, vengono rialzate in centro, acquisendo in tal modo un’impercettibile forma arquata. Per creare un’impressione di perfetto equilibrio, le colonne situate ai margini delle facciate dei templi vengono inclinate verso l’interno, in modo da evitare l’effetto contrario. Una terza correzione viene infine apportata al fusto stesso delle colonne: nei templi particolarmente grandi (come quelli della Concordia ad Agrigento. di Selinunte o di Segesta) colonne perfettamente rastremate sembrano restringersi nella parte alta, motivo per il quale si provvede a compensare quest’illusione ottica con un rigonfiamento (entasi) appena percettibile (e solo a distanza ravvicinata) a circa 2/3 dell’altezza del fusto.
Decorazione – Le sculture figurative, il cui ruolo θ spesso didattico, compaiono sugli elementi piω visibili e su quelli privi di funzione architettonica: timpano dei frontoni, metope dell’architrave e bordo dei tetti.
I templi vengono dipinti con sfondi dei bassorilievi generalmente rossi e parti salienti azzurre in modo da far risaltare il candore delle sculture in marmo o in pietra. Una tonalitΰ “bronzo dorato” permetteva di valorizzare alcuni elementi decorativi, quali scudi ed acroteri (motivi decorativi posti alle estremitς o in cima al frontone). Al di sopra delle cornici laterali (alle estremitΰ del tetto) alcune decorazioni scolpite, chiamate antefisse, fungono da doccioni.
eraclea minoaI teatri – Nei pressi della maggior parte dei santuari greci sorgeva un teatro dove si svolgono le feste dionisiache (in onore di Dioniso, dio del vino), i cui inni, detti anche “ditirambi”, diedero vita alla tragedia greca.
Costruito prima in legno, poi in pietra, a partire dal IV sec. a.C., l’edificio comprende:
– il koion o cavea, serie di gradini disposti a semicerchio la cui prima fila θ riservata ai preti e ai notabili: vi si accede nella parte bassa attraverso entrate laterali (parodos), nella parte centrale per una galleria (diazoma) e in quella alta per un passaggio parallelo al diazoma;
– l’orchestra, area circolare ove, intorno all’altare di Dionysos, prendono posto il coro e gli attori, i cui volti sono nascosti da maschere corrispondenti al loro ruolo;
– un proscenio (proskιnion) sullo sfondo, sorta di portico che serviva da scenario, ed una scena (skιnι), costruzione dalla triplice funzione di scenario, quinte e magazzino. Durante l’epoca ellenistica questa skιnι diviene un luogo principalmente riservato agli attori. Il muro di scena migliora l’acustica del teatro.
Dato che questi edifici sono generalmente immersi in uno splendido paesaggio, sul fianco di una collina o di una montagna, lo sfondo naturale (particolarmente spettacolare a Taormina e a Segesta) serve da scenario alle rappresentazioni. La scena, quasi sempre sopraelevata, domina l’orchestra circolare, ove vengono anche effettuati alcuni sacrifici.
siracusaAttori e spettacoli teatrali
Le rappresentazioni teatrali nell’antichitΰ avevano luogo in occasioni di feste pubbliche. Non erano quindi un evento ricorrente o quotidiano come adesso, ma costituivano, invece, uno dei momenti salienti di feste cittadine ed avevano, nella maggior parte dei casi, una lunga durata (potevano essere tre o quattro giorni di rappresentazione). Lo spettacolo aveva luogo di giorno ed era a cielo aperto. Gli attori, solo uomini che sostenevano anche i ruoli femminili, erano dotati di alte calzature “i coturni” e acconciature per essere ben visibili e di statura imponente (l’altezza era anche indice dell’importanza sociale di un personaggio) e indossavano maschere che permettevano di amplificare la voce siracusae di incarnare differenti personaggi (gli attori erano pochi e sostenevano piω ruoli). Esse perς impedivano di sottolineare l’azione con la mimica facciale. Proprio per questo motivo, molto importanti erano i gesti. L’abito di scena era molto colorato e sembra che le tinte avessero un carattere simbolico. Cosμ, ad esempio, il nero indicava lutto e sventura. All’identificazione di un personaggio (etΰ, stato sociale, stato d’animo, provenienza) contribuivano anche la maschera e alcuni attributi a lui comunenemente associati: la corona per ire, il bastone per i vecchi, i copricapi per gente straniera. Oltre agli attori, sulla scena trovava posto il coro, la cui funzione primaria era quella di commentare gli eventi narrati.
Per sottolineare la particolare drammaticitΰ dell’azione, o l’entrata in scena di un personaggio importante, venivano utilizzati dei veri e propri macchinari scenici. Tra i piω noti vi sono la macchina per produrre i fulmini, un pannello nero su cui era riprodotta, in oro zecchino, una saetta che, mostrata all’improvviso, riluceva al sole (non si deve dimenticare che, come giΰ accennato prima, gli spettacoli erano diurni), o la macchina del tuoni, in cui il rombo era ottenuto facendo rotolare grosse pietre in un recipiente in ottone o il Mechanι, congegno tramite il quale era possibile far apparire improvvisamente sulla scena un dio che risolvesse la situazione. In effetti era probabilmente un gancio collegato ad una carrucola che permetteva di far apparire, dall’alto la divinitΰ. L’espressione, ancora oggi utilizzata, Deus ex Machina (usata per indicare un’improvvisa ed inaspettata soluzione. “piombata dall’alto”) deriva proprio da qui.
La scultura
Secondo alcuni autori greci, quali Diodoro Siculo (storico del I sec. a.C.) e Pausania viaggiatore greco del II sec. d.C.), la Sicilia diviene un focolaio artistico a sθ stante ancor prima di essere colonizzata. E’ in ogni caso difficile individuare uno stile siciliano prima dell’insediamento greco (VIII sec. a.C.), a causa dei numerosi scambi artistici avvenuti tra Sicilia e Grecia, in particolare nella parte meridionale dell’isola in quel tempo occupata dai Sicani. Durante la colonizzazione, la produzione artistica subisce naturalmente l’influenza di quella greca, provocando la graduale scomparsa dello stile puramente siciliano.
L’isola conosce quindi i tre periodi cronologici che definiscono le correnti artistiche greche (arcaico, classico ed ellenistico).
museo archeologico di agrigento – testa fittile di KourosEpoca arcaica (VIII-V sec. a.C.) – Questo periodo coincide con la produzione delle prime statue ieratiche di grandi dimensioni, che dΰ vita, nel VI sec. a.C., ai due celebri modelli noti come kouros, figura di un giovane nudo, e korι, raffigurazione di una giovane donna avvolta in una tunica.
La statua dell’Efebo di Agrigento, che costituisce un’ottima illustrazione dello stile arcaico tardivo, dimostra una certa ricerca estetica, sebbene l’equilibrio del corpo sia ancora da perfezionare (la gamba destra sembra estremamente rigida mentre le braccia tese risultano troppo lontane dai fianchi).
Tra le decorazioni scolpite che ornano i templi, due esempi rappresentano lo stile arcaico rinvenuto in Sicilia: la policroma Gorgone alata, che decora il frontone dell’Athenaion a Siracusa e le metope di Selinunte, conservate al Museo Archeologico di Palermo. Grazie alla scoperta di sei metope ritrovate nel muro fortificato dell’acropoli di Selinunte e risalenti al 575 a.C., si presume che in questa cittΰ, l’unica della regione ad aver riportato alla luce questo tipo di decorazione, esistesse una scuola di scultura locale. Alcune metope evocano degli dei venerati a Selinunte, come la triade apollinea (Apollo, Artemide e la loro madre Latona) o Demetra e Persefone. Le metope del tempio C (la Quadriga di Apollo. Perseo e la Gorgone e Eracle ed i Cercopi), scolpite nel calcare locale, sono ravvivate dai colori presenti su alcuni dettagli delle loro vesti e dei loro corpi. Risalenti presumibilmente alla metΰ del VI sec. a.C., queste opere dimostrano una perfetta maestria nell’arte della composizione. Le metope del tempio E (Hera e Zeus, Eracle che lotta con un’Amazzone) costituiscono veri e propri capolavori, spesso paragonati alla decorazione del Tempio di Zeus ad Olimpia.
Epoca classica (V-III sec. a.C.) – Quest’epoca, caratterizzata da una maggiore morbidezza nell’arte statuaria, si libera dell’antico aspetto rigido e severo.
L’Efebo di Mozia, in marmo bianco, riportato alla luce senza braccia nθ piedi e θ oggi conservato sul luogo del ritrovamento nel Museo Giuseppe Whithaker, testimonia tale evoluzione: questo giovane, alto 1.81 m, le cui morbide forme rivelano il tipico stile del V sec., indossa una lunga tunica di soffice e avvolgente lino che evidenzia il suo muscoloso corpo d’atleta. Sembra che questo marmo, unico in Sicilia, sia stato importato allo stato grezzo dall’Anatolia e poi lavorato sul posto. L’identificazione di quest’efebo ha sollevato numerose ipotesi ma gli studiosi non sono ancora giunti ad una conclusione definitiva.
Gli atlanti (o telamoni) del Tempio di Zeus Olimpio Agrigento, un tempo addossati ai muri che si ergono tra le colonne, appaiono estremamente imponenti per via delle loro dimensioni. Il Museo Archeologico Regionale di Agrigento ne conserva attualmente un solo esempio (alto 7,75 m).
Alcuni motivi decorativi dei templi, come le antefisse a forma di testa di leone (Museo Archeologico di Palermo), confermano la maggiore abilitΰ acquisita dagli artisti durante il periodo classico.
Epoca ellenistica (III-I sec. a.C.) – In questi secoli, l’arte scultorea inizia a tendere verso l’espressionimo e l’orientalismo e conferisce alle divinitΰ scolpite un aspetto piω spoglio (ad esempio Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, indossa una tunica plissettata e fluida che, lascia scoperta una parte del suo corpo) e dei tratti piω umani. Questo periodo esprime, con un realismo a volte esasperato, non solo emozioni ma anche vari movimenti quali la forza e la danza.
La scoperta dell’ariete bronzeo a Castello Maniace, dimostra che Siracusa θ la cittΰ in cui l’influenza dei canoni greci dell’epoca ellenistica si fa maggiormente sentire. In origine questo capolavoro risalente al III sec. a.C., faceva parte di una coppia che orna il palazzo dei tiranni della cittΰ (eretto sull’antica isola di Ortigia). Il prezioso animale, mai eguagliato nella precisione dei tratti e nell’esecuzione, costituisce oggi uno dei pezzi piω pregiati del Museo Archeologico di Palermo.
Le maschere teatrali in terracotta del Museo Archeologico di Lipari (piω di 250 modelli) risultano di notevole interesse per le varie emozioni che esprimono, tutte influenzate dalla tragedia greca che si diffonde in Sicilia nel III sec. a.C.
Pittura e ceramica
La pittura θ considerata dai Greci l’espressione artistica piω nobile ed eloquente, definita dal poeta greco Simonide (V sec. a.C.) “poesia muta”. Le testimonianze di quest’arte sono purtroppo rare, data l’estrema sensibilitΰ dei pigmenti delle tinture, poco resistenti al tempo. Gli unici esempi di arte grafica greca provengono quindi dai vasi.
Le forme – I pithos vengono utilizzati per la conservazione delle granaglie, mentre la doppia funzione delle anfore θ quella di conservare e trasportare olio e vino. Le pelike, i crateri e le idrie servono rispettivamente da giare per l’olio, per il vino e per l’acqua. Sono inoltre molto comuni le oinochoe, brocche per contenere l’acqua o il vino versato in seguito nei cantari, le kylix (coppe da cui si beve) ed i rhython, recipienti a forma di corno o di testa di animale. I lekythos sono invece vasi funerari.
Gli stili – I vasi a figure nere su sfondo rosso o giallo risalgono all’epoca arcaica e all’inizio dell’epoca classica. I dettagli delle figure vengono ottenuti incidendo semplicemente la vernice nera con una punta d’acciaio. Le scene piω ricorrenti sono generalmente legate alla mitologia e alla vita quotidiana, benchθ presentino a volte solo figure astratte (motivi decorativi dei vasi piω antichi).
I vasi a figure rosse appaiono in Italia meridionale verso la fine del V sec. a.C., in anticipo rispetto alla Grecia dove questo stile si diffonde solo nel 480 a.C. La vernice nera, impiegata negli altri vasi per disegnare le figure, serve ormai unicamente da sfondo alle decorazioni che mantengono invece il colore rosso dell’argilla. Quest’inversione, che concede una maggiore libertΰ di movimento, costituisce una scoperta rivoluzionaria per gli artisti, i cui disegni acquisiscono tratti piω morbidi di quelli incisi con una punta. I temi raffigurati non subiscono invece notevoli variazioni. Tra gli esempi piω belli di vasi attici d’importazione, figurano i magnifici crateri a volute di Agrigento (V sec. a.C.). www.sicilyweb.com