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a cura di Gabriella Macrì
TINO SANGIGLIO, Poesia greca contemporanea, Pubblicazione del Comune di Trieste – Assessorato alla Cultura, 2000, pp. 250, s.i.p
Nell’Introduzione molto ampia ed esauriente dell’antologia Sangiglio sottolinea due concetti: il primo riguarda la questione della lingua, che in Grecia «si è estrinsecata in una duplice direzione: una prima teorica sui rapporti tra la lingua greca antica e quella greca d’oggi, una seconda pratica sulle vicende storiche della lingua neogreca». La consapevolezza, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, dell’esistenza di due aspetti diversi della lingua (la lingua parlata, popolare, o dhimotikì, e la lingua dotta, classicheggiante, la katharèvusa) fu determinante per la nascita nell’Ottocento di alcune scuole poetiche che si schierarono a favore dell’una o dell’altra forma espressiva.
Il secondo concetto, costante nell’Introduzione, riguarda «quel sentimento chiamato romèikos kaimòs, vale a dire quel sentimento di dolore e di gioia insieme, quel senso duplice di appartenenza e di discendenza da ceppi gloriosi ed insigni ma anche di frustrazione e di angoscia per qualcosa di prezioso e di unico andato perduto per sempre». È un sentimento che accompagnerà la poesia di Kavafis, Seferis, Thèmelis, Anagnostàkis, e che ritroviamo nei poeti della resistenza e del dissenso (Ghiannis Kondòs, Katerina Anghelàki Rooke, Thanassis Niàrkos, Lefteris Pùlios). Con le ultime generazioni di poeti «il filo del romèikos kaimòs viene stravolto e dilatato nelle più inattese sonorità della desolazione e del vuoto». Il romèikos kaimòs è accostato, a sua volta, al sentimento della grecità moderna che permette di delineare un quadrato immaginario che parte da Kavafis, continua con Seferis e «la sua grecità dolente e ricca di umanità», si unisce a Ritsos e alla sua«grecità oppressa e perseguitata» per concludersi con Elitis che esprime «la grecità di una stirpe sublimata nella coscienza di un altissimo destino».
All’Introduzione segue un panorama molto vasto e completo della poesia greca contemporanea. Punto di partenza è Kavafis per arrivare ai poeti degli anni ’70 (Fostièris, Veis) alcuni dei quali già pubblicati in Italia. Pur maneggiando un materiale di così vasta portata, Sangiglio fornisce un quadro completo per ciascun poeta. La poesia di Ghiorgos Thèmelis (1900-1976), per esempio, è dominata dal «tema della solitudine, della ricerca, dell’assenza, del nulla e della morte, della finale resurrezione cristiana». Nel canto del poeta-marinaio Kavadhìas (1910-1973), intriso di esotismo e racconti di mare, i viaggi non appartengono solo alla realtà, ma sono gli ‘altri’ viaggi, quelli della memoria e della fantasia; il mare «è altrove, ha una dimensione per così dire eterna, sta nell’origine dei comportamenti dell’uomo, dell’isolamento esistenziale di quelle comunità di perenni naviganti che vivono perennemente in quella tensione tra vita terrestre e vita marina». Manòlis Anagnostàkis (1925) viene accostato a Kavafis per il ritmo discorsivo e «il tono confidenziale del dialogo, della conversazione quotidiana e del discorso semplice e alla buona tra amici e compagni», anche se i ricordi carichi di storie della Resistenza, della sconfitta politica del dopoguerra e della persecuzione politica «lasciano al lettore un’indimenticabile sensazione di struggente poeticità e di grande lezione morale». Di Kikì Dimulà, la più grande poetessa greca esistente, si mette in evidenza la tecnica «di rovesciare ogni significato lessicale per fargli assumere quello voluto, unico è quel suo aggredire la parola che viene metamorfosata a suo piacimento nelle soluzioni più impreviste e imprevedibili; in una parola la poetessa riesce a terrorizzare la parola». L’antologia (pubblicata a cura del Comune di Trieste, dell’Assessorato alla cultura della città e della Comunità greco orientale, da oltre due secoli presente a Trieste) è pertanto un valido contributo alla conoscenza della poesia greca contemporanea.
KOSTAS STERJOPULOS, Lucentezza del giorno, Sciascia Editore, Caltanissetta 2000, pp. 48, € 5,16
Poeta, critico, accademico Kostas Sterjòpulos (Atene 1926) esordì come poeta nel 1955 con la raccolta di poesie, I paesaggi della luna. Seguirono altre nove raccolte di cui l’ultima, Marea, è del 1998. Il suo percorso poetico è caratterizzato dall’esperienza simbolista, maturata anche attraverso studi e ricerche condotti sui poeti greci appartenenti a quest’area (Telos Agras, poeta degli Anni Venti; Kostas Kariotàkis, morto suicida nel 1928, e poi Thèmelis, Dimàkis, Varvitsiòtis, Vafòpulos). Già i titoli delle prime raccolte (I paesaggi della luna, L’ombra e la luce del 1960, L’albeggiare del mito del 1963, fino all’ossimoro Il sole di mezzanotte del 1991) testimoniano il carattere bipolare della sua poesia: da un lato la razionalità dell’intellettuale, dall’altro l’irrazionalità della parola poetica. Sterjiopulos oscilla tra il sentimento di fede e la sua assenza, tra la luce e la tenebra, tra la disperazione e la speranza, tra l’inverno e la primavera, tra gli angeli e i demoni, tra la vita e la morte. Simile a un funambolo, cammina su un filo ai cui estremi sono il moto, simbolo di vita, e l’immobilità, sinonimo di morte. A un tale contesto appartengono anche le poesie scritte tra il ’65 e il ’68 e comprese nella raccolta I paesaggi del sole. Qui la partecipazione agli eventi della realtà, agli avvenimenti della vita segna profondamente anche i luoghi da sempre frequentati che sembrano oscurati dal peso di quei tragici eventi storici che portarono alla dittatura dei colonnelli. L’ombra della prossima dittatura conduce infatti il poeta a una nuova disperazione che filtra anche attraverso le liriche più solari della raccolta: «si sono intristiti giardini e piazze./ Cadono le foglie, cadono i capelli./ Notti attiche dopo le sei./ Non miriamo più il cielo che s’è chiuso,/ la pioggia che cade/ e il sole irretito fra le nuvole.// Come se tutta la nostra vita fosse di terra/ ed eccola sgretolata» (Notti attiche dopo le sei). Il tema del rapporto con la natura è ripreso anche nella raccolta successiva, Eclissi (1974) frutto dell’esperienza della dittatura. La bellezza del paesaggio greco aiuta il poeta a evadere dalla realtà che lo circonda, il sole, la terra, il mare sembrano quasi venire in suo aiuto, soprattutto quando è costretto ad allontanarsi dalla sua terra attica: «Amo l’arido suolo dell’Attica,/ l’etereo freddo azzurro e grigio dell’orizzonte,/le isole lontane, piene di antichi echi,/ che navigano nel crepuscolo settembrino/ sibilando assieme alle navi» (La lingua delle cose, in A metà della rotta, 1979). Sono tematiche che ripercorrono l’intero arco della sua produzione poetica fino all’ultima raccolta, Marea del 1998 dove ancora una volta sono evidenti alcuni richiami alla poesia di Kariotakis, da lui sempre ammirata. La traduzione di queste poesie ci permette dunque di poter apprezzare anche in Italia l’opera di un poeta finora a noi ignoto. La scelta e la bella traduzione di Vincenzo Rotolo, che ha prefato questa piccola antologia poetica, ci consentono di attingere all’opera di un protagonista della cultura greca contemporanea.
GHIANNIS VARVÈRIS, Piìmata 1975-1996, Atene, Kedros 2000, pp. 411, € 13,20. GHIANNIS VARVÈRIS, Sta xena, Atene, Kedros 2001, pp. 62, € 6,00.
Nel volume Poesie 1975-1996 è presentata la produzione poetica di Varvèris fino alla penultima raccolta, Miracolo annullato. Varvèris che appartiene alla generazione di poeti degli anni ’70 insieme a N. Vaghenàs, M. Ganàs, A. Fostièris, esordisce appena ventenne con la silloge Nella Fantasia e nel Discorso il cui titolo è ispirato a un verso di Kavafis. La rivisitazione del poeta alessandrino si manifesterà in modo più accentuato nella produzione successiva con la suggestione delle penombre, la descrizione dei vicoli e dei vecchi quartieri ateniesi, la mitizzazione della stessa Atene, la contemplazione degli oggetti a lui cari, la simbologia della camera in quanto luogo chiuso e protettivo, il clima di attesa di alcune liriche, per farsi esplicita nella lirica Il poeta Kavafis ad Atene (in La morte lo ricopre del 1986), dove anche la lingua è usata secondo gli stilemi poetici di Kavafis.
La parallela attività di traduttore dal francese (ha tradotto in greco L. Ferré, J. Prevert, J. Brassens, B. Cendrars, Marivaux, Molière), dall’inglese (traduzioni da L. Currington, W.Witmann), ma soprattutto dal greco antico (Aristofane e Menandro) ha contribuito alla maturazione del linguaggio poetico e degli stilemi di Varvèris, inducendolo a esprimere il lessema nella sua essenzialità senza però scarnificarlo. La parola è precisa, chiara, funzionale al discorso strettamente individuale del poeta, per il quale essa diventa espressione di un viaggio interiore alla ricerca di se stesso: «La stanza dei cimeli/ intatta/ dentro me./ Eredito / la vigilanza degli oggetti/ la dinastia degli ultimi passi.// Vado avanti in silenzio» (Gli oggetti). Così esordisce nella prima plaquette che già nel titolo, Nella Fantasia e nel Discorso, dichiara il ruolo che per lui riveste la poesia: quello di esprimere l’immaginario attraverso la parola poetica. La funzione del linguaggio poetico e della stessa poesia coinvolgerà anche le raccolte successive. In Dialogo con un poeta, della raccolta Il becco (1978) chiede a un poeta maturo e più esperto quale è il segreto per diventare un vero poeta. La risposta è che bisogna vivere la poesia: «Inìziati a un discorso, insèdiati sul dolore/ libera il respiro dal vivere quotidiano/ è lì che palpita l’anima, offrile del vino/ affinché esca per strada, racconta di carnefici…». L’uso della seconda persona, che appare fin da questa raccolta, sarà sempre più frequente nella produzione poetica successiva dove il poeta dialoga con il suo alter ego ed esprime il desiderio di voler comunicare con gli altri: «Ci sono alcune volte/ pochissime/ che sei sicuro di capire tutto/ più che mai/ tanto da voler dire o scrivere/ tutto» (Compact, in Pianoforte d’abisso, 1991). Quando l’Altro è un personaggio del passato, come Jules Verne oppure il suo stesso genitore, la memoria e, insieme ad essa,il passato sono revocati con l’uso del vocativo. Il Tempo per Varvèris si manifesta dunque solo nel passato e nel presente: il futuro non esiste, o è simbolo di morte: «So che morirò molto prima./…/ Tutto il dolore allora sarebbe mio./ L’afflizione/ la memoria/ e la malinconia;/ secondo i parenti o gli amici/ anche il pianto» (Se un dio fosse colpito, in Miracolo annullato).
La morte, presenza costante nell’opera poetica di Varvèris, viene superata, se non annullata nell’ultima raccolta, In terra straniera, del 2001 che gli ha valso, l’anno dopo, il premio Diavazo per la poesia. Qui il poeta sembra essere di ritorno da un appuntamento con il destino e, dopo aver intrapreso un viaggio interiore, tormentoso e irto di pericoli (cominciato forse con Il signor Fogg del 1993, raccolta ispirata al protagonista del Giro del mondo in 80 giorni di J.Verne) torna a vivere e a riprendere le proprie abitudini provando però le stesse sensazioni di chi, emigrato, ritorna come un deraciné al proprio Paese. Così il poeta dichiara nella lirica che dà il nome alla stessa raccolta: «Come quelli che sono andati in Germania negli anni Sessanta/ e i cui genitori si sono trasformati/ in una carta geografica/ nelle scuole dei figli/ …// ma soprattutto/ come di notte, inconsolabile/ tra i suoi scritti/ il malinconico imperatore/ Marco Aurelio/ doveva prendere decisioni/ per lui futili/ ma importantissime per l’imperium// allo stesso modo/ adesso da questo luogo/ proprio con questo binocolo/ guardo la patria». Il luogo diventa vuoto, assenza, è traumatico. La sua terra gli è estranea, diventa un rifugio e al contempo una condanna, un luogo dove la nostalgia, in quanto attesa, si ravviva. Con questa raccolta si apre una nuova fase, più matura, della poesia di Varvèris. Il suo percorso poetico e la sua recerche sembrano muoversi verso nuovi orizzonti.
GHERASIMOS ZORAS, Risonanze italiane nel Mar Ionio, Vecchiarelli, Roma 2001, pp. 173, € 15,00
Nel XIX secolo i poeti greci che vivevano nelle isole Ionie (l’Eptaneso) nutrivano un grande interesse per la letteratura italiana. Esso era stato incoraggiato dai rapporti che, per motivi di carattere storico e culturale, si erano consolidati nei secoli tra la classe colta greca e l’Italia: basti pensare al dominio della Repubblica di Venezia sulle isole Ionie dal XVI secolo fino al Trattato di Campoformio del 1797 e che determinò l’imposizione dell’italiano come lingua ufficiale (nell’Eptaneso la lingua italiana continuò a essere parlata fino al 1851, anno in cui una legge decretò l’uso del greco). Gli stretti contatti dunque che l’Eptaneso manteneva con l’Occidente e l’Italia favorirono l’attività intellettuale soprattutto a Corfù, incrementando gli scambi culturali e lunghi soggiorni in Italia di intellettuali greci (e di italiani in Grecia) e contribuendo a far conoscere nel loro Paese gli autori della nostra tradizione letteraria (Dante, Petrarca, Tasso, Metastasio) ma anche i contemporanei (Manzoni, Leopardi). Dionìsios Solomòs (1798-1857), per esempio, nato a Zante e considerato il padre della poesia greca moderna, amico di Ugo Foscolo (nativo della stessa isola e di vent’anni più grande), visse tra il 1808 e il 1815 a Cremona per trasferirsi poi a Pavia dove s’iscrisse in Giurisprudenza e compose le sue prime liriche in italiano. A Corfù, per contro, trovarono rifugio molti esuli politici italiani tra cui Gaetano Grassetti, Giuseppe Regaldi e, tra il 1849 e il 1854, Niccolò Tommaseo, che intrecciò intensi rapporti intellettuali e di amicizia con molti poeti e dotti dell’Eptaneso. Un tale fervore alimentò tra gli intellettuali ionii il desiderio di tradurre gli autori più significativi delle lettere italiane. L’attività traduttiva contribuì peraltro a far conoscere ancora di più ai poeti gli stilemi e le correnti della poesia italiana, tanto da subirne gli influssi nelle loro opere. Infatti, se per molti dei poeti ionii lo stile, il modello poetico da imitare era quello di Ugo Foscolo, non mancano i richiami a Dante, al Manzoni (soprattutto degli Inni Sacri) o a Leopardi.
Una panoramica interessante sulla letteratura italofona dell’Eptaneso è offerta dall’antologia poetica Risonanze italiane nel Mare Ionio. In essa si esamina la poesia degli autori greci più significativi vissuti nelle isole Ionie, individuando i fenomeni intertestuali che legano la poesia dell’Eptaneso a quella italiana, permettendoci di constatare il grado di interferenza e quale ruolo ha esercitato la poetica italiana nel percorso letterario degli autori presi in esame. Nella Prefazione Zoras riferisce gli eventi storici più importanti che si verificarono nelle Isole Ionie durante il XIX secolo, per passare poi all’analisi della presenza italiana sui letterati delle isole Ionie. L’antologia poetica si apre con alcune liriche, emblematiche, di Ugo Foscolo del quale sono presentate anche due epistole indirizzate al poeta Andreas Calvos. Seguono i poeti italofoni Mustoxìdis, Calvos (con alcune epistole indirizzate, a sua volta, al Foscolo), Marcoràn, Solomòs, De Roma, Tertzètis (in italiano Terzetti), Lascaràtos, Braila- Armènis, Tipàldos (in italiano Tipaldo), Martinèlis, Marzòkis. L’antologia è impreziosita dalle epistole scritte in italiano che Mustoxìdis, Emilio e Giulio Tipaldo, Valaorìtis, Tertzètis, Solomòs e altri poeti dell’Eptaneso inviavano in Italia a Niccolò Tommaseo. Risonanze italiane nel Mare Ionio offre pertanto molti spunti per ulteriori ricerche e studi ed è un contributo fondamentale agli studi di comparatistica greco-italiana.
Per concludere, il volume è il primo della Collana ‘Italo-Hellenica’ per i tipi dell’editore Vecchiarelli. Come si precisa nella Presentazione della collana di cui Zoras (professore ordinario di Letteratura italiana presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Italiana e Spagnola dell’Università di Atene) è il direttore, con essa si intendono «segnalare alcune delle radici culturali comuni e delle reciproche influenze che hanno determinato lo sviluppo parallelo delle lettere greche e italiane ». Scopo della collana è «occuparsi dei rapporti culturali italo-ellenici sviluppatisi a Roma, a Venezia, a Firenze così come ad Atene, a Creta e nelle Isole dell’Egeo, mettendo in risalto le tracce del comune cammino culturale».
RIVISTE
DIA-KÌMENA nn. 2-4, Rivista del Laboratorio di Letterature Comparate, Pubblicazione del Dipartimento di Lingua e Letteratura Francese dell’Università «Aristotele» di Salonicco, C.p. 81, 54124 Salonicco, e-mail: [email protected].
Il Laboratorio di Letterature Comparate è stato creato nel 1999 ed è l’unico in Grecia. Coadiuva la ricerca nell’ambito della comparatistica, della critica letteraria, della teoria della letteratura, del rapporto tra letteratura e traduzione. Collabora con la Società greca di Letteratura comparata, con l’AILC, con il CIEF (Consiglio Internazionale di Studi Francofoni), con l’AEFECO (Società di Studi Francofoni dell’Europa Centrale e Orientale). Organizza ogni due anni un congresso internazionale e, a scadenza annuale, una giornata di studi i cui atti sono pubblicati su Dia-kìmena (Inter-testi) rivista a pubblicazione annuale. Il secondo numero, monotematico, è dedicato agli atti della giornata di studi svoltasi nel 2000 (La traduzione come mezzo di accostamento alla letteratura) con interventi interessanti di A. Tambàki (Traduzioni in neogreco durante l’Illuminismo: ampiezza e limiti della letteratura) e M. Orfanìdu (Il dramma dell’autotraduzione, con riferimento agli scrittori che appartenendo a Paesi di lingue e letterature ‘minori’ scelgono di scrivere o di autotradursi in una lingua ‘dominante’). Nel n. 3 che ha come tema Letteratura e Arte si distinguono gli interventi di Z. Siaflèkis (Confronti tra letteratura e arte: vantaggi e rischi di un procedimento), di D.Tsatsùlis Fotografia e letteratura. Dall’immagine alla lettura intertestuale. Nella seconda sezione che contiene saggi di vario genere si segnalano La presenza di Cipro nella poesia francese di Gh. Ioannu e Identité culturelle et utopie: le cas des auteurs francophones di Gh. Freris. Il quarto numero ospita gli atti della giornata di studi su Letteratura e Lettura. Tra gli interventi emergono quello di E. Sturm (Modello spagnolo e tedesco di lettori. La Grecia come mito e la mitologia greca, sullo stereotipo della Grecia e dei greci nei romanzi di Terenci Moix e Sten Nadolny) e di F. Ghicopulos sull’ipertesto (Le necessità dello studioso e l’offerta dell’informatica). Tra i saggi della seconda sezione si segnalano Il mito del re Candaule in A. Gide e M. Liberaki di O. Antoniàdu, Tre racconti di epoca ottomana sulla guerra di Troia di J.-L. Bacqué-Grammont. La rivista si conclude sempre con un’ampia rubrica di recensioni di libri editi in Italia, Grecia, Francia e di altri Paesi europei.
(Gabriella Macrì)
METAFRASI ’00-’01-’02, 2000- 2002, pp. 247, 10,00, Via Socratus 26, 14561 Kifissià (Atene), e-mail: [email protected]
Nata nel 1995 la rivista, a pubblicazione annuale, si occupa esclusivamente di traduzione, sia da un’ottica teorica che pratica. Le pagine iniziali sono sempre dedicate a una letteratura straniera, con autori talvolta sconosciuti in Grecia. Nel ’97 sono state presentate sette scrittrici italiane (A.M. Ortese, M. Bellonci, L. Romano, P. Capriolo, M.T. Di Lascia, R. Loy e A.Rosselli). Interessante è il dibattito teorico, sviluppato attraverso le idee di autori ormai consacrati nel campo dei translation studies, sia attraverso le riflessioni, o le esperienze traduttive riportate dagli stessi traduttori. Tra gli autori ospitati in questi anni si possono citare P. Ricoeur con Il paradigma della traduzione, I.A.Vlahos con Problemi di traduzione e d’interpretazione della poesia di Kavafis, J. Bouchard con Traduire l’«écriture automatique » d’A.Embiricos (Metàfrasi ‘00); del numero ‘01 è sufficiente menzionare Y. Bonnefoi sulla traduzione di Leopardi in francese e J. Ortega y Gasset con un brano tratto da Miseria e grandezza della traduzione. L’ultimo numero ospita un saggio di E. Coseriu, Il giusto e l’errato nella teoria della traduzione, di F. Wuilmart, Le péché de «nivellement» dans la traduction littéraire, un intervento sulle traduzioni di Goethe. Una rubrica finale di recensioni conclude sempre la rivista, caratterizzata da una veste grafica ben curata e raffinata.
DIAVAZO, nn. 440, 441, maggio, giugno 2003, e-mail: [email protected]
È una pubblicazione mensile la cui caratteristica è un ricco aggiornamento bibliografico suddiviso in varie sezioni e atto a soddisfare le esigenze più disparate. Nata nella seconda metà degli anni Settanta e, da gennaio 2003, con una nuova veste editoriale, Diavàzo è tra le riviste letterarie più lette in Grecia. La sua autorevolezza è tale che da otto anni ha istituito un premio letterario (Premio Diavazo, per l’appunto) che comprende le sezioni narrativa, poesia, saggio letterario, romanzo di esordiente, avvalendosi del contributo e delle segnalazioni dei più importanti critici letterari greci. Ogni numero della rivista si apre con la classifica dei best-seller del mese. Una ricca sezione centrale è dedicata alle recensioni e alle presentazioni, anche da parte degli stessi autori, delle novità che riguardano tutti i campi d’interesse: letteratura neogreca e straniera, saggistica, diritto, storia, mass media, filosofia, ecc. Nel n. 439 per esempio, è recensito il saggio di M. Mafai, V. Foa, A. Reichlin Il silenzio dei comunisti recentemente tradotto in greco. Seguono alcune pagine monotematiche: il n. 440 è dedicato allo scrittore Kostas Tachtzìs di cui alcuni anni fa è stato tradotto in italiano da P.M. Minucci il romanzo più importante, Il terzo anello; il n. 441 è anch’esso dedicato a un intellettuale greco, Kostìs Papaghiòrghis. Una terza sezione comprende un bollettino bibliografico, con schede bibliografiche sulle ultime pubblicazioni, suddivise anche qui per argomenti (filosofia, psicologia, religione, scienze sociali, istruzione, lingua, arti, letteratura che di solito è il settore più ricco ecc.). La rivista si conclude con un bollettino delle recensioni, un aggiornamento sulle recensioni pubblicate durante il mese su varie riviste e quotidiani.
(Gabriella Macrì)
www.unisi.it