RACCONTARE LA NOTTE DELLA TARANTA

24grammata.com/ ιταλικά/ αλλοδαποί ελληνόφωνοι

παρουσίαση του Φεστιβαλ της Taranta (η πιο σημαντική καλλιτεχνική εκδήλωση στην περιοχή των ελληνοφώνων της Grecia Salentina)

 di Sergio Blasi

Raccontare la Notte della Taranta. Raccontare una manifestazione che ha segnato in profondità il Salento ed il suo edificio culturale è cosa non semplice in sé ed espone a molti rischi proprio perché molto ha fatto discutere e molto ha appassionato ed appassiona. Un gruppo di giovani amministratori della Grecia Salentina, a metà degli anni novanta si è ritrovato per una coincidenza fortunata ad avere responsabilità di governo ognuno nella propria comunità. Abbiamo avvertito subito il privilegio di poter decidere e quindi fare delle scelte in grado di condizionare il corso degli eventi che davanti a noi si aprivano. Avevamo ragionato sempre ognuno chiuso nel suo campanile e la prima scelta che ci siamo trovati a fare consapevolmente è stata quella di superarli, di provare ad abbatterli e di ragionare come “area”, come territorio che ripartiva da sé, dalla sua identità più antica, da un idioma comune ormai in disuso e destinato al declino ed all’oblio. Una Grecia Salentina che si pone il problema di come vincere la sfida con la modernità non provando a rincorrere un Nord che non potevamo mai essere, ma guardandosi intorno e scoprendo che quel muro di Berlino che cadeva sotto la porta di Brandeburgo stava profondamente cambiando, per paradosso, più noi che la Germania. Vincere la sfida con la modernità senza perdere lo spirito comunitario, vincere la sfida con la modernità ripartendo dalla principale ricchezza che determina l’aspetto e il carattere di una comunità e di un territorio: la relazione profonda tra i luoghi ed i suoi abitanti. La società che si riapriva, posizionava le sue rotte principali non più nel Nord Europa, ma qui nel Mediterraneo dove noi per lunghissimo tempo siamo stati finibus terrae, periferia di un continente, riserva di braccia che hanno prima attraversato gli oceani e poi percorso risalendola la penisola dalle miniere della Francia e del Belgio alle grandi fabbriche del Nord Europa e poi del Nord Italia. Ora, per vicende che la storia aveva disegnato e ricamato, il Salento non era più come scriveva di noi Quasimodo “…terra spaccata dal sole e dalla solitudine” ma tornava ad essere straordinario crocevia di popoli, di razze, di fedi, di culture che qui approdavano, scappando da guerre, fame e costrizioni per cercare “l’Ammerica” (come noi un tempo l’avevamo cercata) che li liberasse dal bisogno e gli permettesse uno scatto all’inpiedi di dignità. Ci siamo sentiti ad un tratto in grado di poter decidere il nostro futuro e il nostro sviluppo. Questa terra aveva a lungo reclamato uno sviluppo che si era fermato altrove, come territorio avevamo segnalato alle classi dirigenti di allora che eravamo stati tagliati fuori da uno sviluppo industriale che con l’Italsider si era fermato a Taranto e con il Petrolchimico a Brindisi. Ma nella nostra idea di sviluppo proprio quella presunta marginalità diventava la nostra ricchezza. Non volevamo partecipare ad un’idea di sviluppo che non solo che non ci apparteneva, ma che di sé ci offriva solo gli scarti. E allora la cultura, lo straordinario patrimonio storico ed architettonico, un paesaggio e un ambiente ancora incontaminato, un patrimonio di tradizione sul quale puntare per vincere la sfida. La sfida della crescita, del progresso che innanzitutto partisse dal nostro desiderio di contare e che facesse di quella storia, di quella tradizione un pilastro fondamentale del nostro progetto di crescita. È in questo contesto che nasce l’Istituto Diego Carpitella prima e la Notte della Taranta poi. La tradizione non come un’ingessatura, come una palla al piede, ma “sapere del popolo”, parte della cultura ed in grado di fornirci importanti informazioni sull’evoluzione della storia degli uomini e dei luoghi da essi abitati. Un fenomenale bagaglio mentre disegnavamo lo sviluppo di questo territorio. Lo straordinario patrimonio musicale ci è sembrato allora un’opportunità forte in grado di esprimere al meglio la metafora del tempo che questo territorio e questa parte dell’Italia stava vivendo, terra d’incontro, di dialogo, di scambio. È proprio il dialogo, il confronto tra la nostra musica di tradizione e i linguaggi della musica contemporanea potevano permettere alla tradizione di essere viva e vitale e quante più interpretazioni riusciva ad avere tanto più essa parlava ad un sempre maggiore numero di uomini. Utilizzare, quindi, il nostro patrimonio musicale, il repertorio di canzoni e canti, diventava uno straordinario atto di protagonismo per sfuggire con il canto, che non è solo sinonimo di canzone ma che è anche luogo marginale, rifugio laterale (farsi da canto), alla periferia della storia. Abbiamo poggiato le nostre speranze di crescere su un bene intangibile, immateriale, una festa che di anno in anno seguiva e modificava questo territorio. Lo proiettava agli occhi di un’opinione pubblica sempre più vasta, lo faceva conoscere all’Italia e si cimentava nel suo sacro pellegrinare con piazze forestiere. Da Roma a Firenze, da Bologna a Venezia, sino in Cina, Giordania e Germania. Un ricostituente, un farmaco che di fronte alle ansie, alle crisi e alla solitudine del cittadino globale era in grado con il suo ritmo, con i suoi canti d’amore e di fatica non solo di legare le generazioni ma di lanciare messaggi ed attenderne altri, in qualche modo di farsi carico di un bisogno universale di amicizia e di conoscenza. La Notte della Taranta, ha segnato profondamente questo territorio, ha prodotto ricchezza richiamando qui uomini e donne che hanno scelto il Salento per rifocillarsi dalle fatiche di un anno. Nel terzo millennio gli uomini non saranno più in grado, come è accaduto per l’antichità, di costruire nuove cattedrali, nuovi straordinari monumenti, mattone su mattone, le “cattedrali” del nuovo millennio saranno proprio questo straordinario patrimonio di tradizioni che è corso di bocca in bocca, di generazione in generazione, che va tutelato per essere vissuto e offerto, come accade con i grandi monumenti dell’antichità, agli occhi ed al piacere di chi vuole godere dei suoi benefici. È chiaro dunque che la Notte della Taranta è una grande festa di suoni e di genti che niente ha a che fare con il rito del tarantismo, la sua fenomenologia e tutto ciò che nelle campagne salentine e intorno alla cappella di San Paolo a Galatina per lunghissimo tempo si è consumato. La Notte della Taranta è festa popolare, la cui straordinarietà sta soprattutto nella consapevolezza che quella piazza che assiste alle varie tappe del festival e del Concertone finale ha di ciò che accade sul palco. Piazza attiva, che è padrona e proprietaria di quello straordinario patrimonio, ricchezza collettiva e mai bottino privato. Oggi avvertiamo il dovere di andare oltre, di strutturare fortemente non solo i luoghi dello spettacolo ma quelli della ricerca, dello studio, dello scambio, di entrare in relazione con altre feste popolari che in Europa e nel mondo si rappresentano. Questi i motivi della nascita della Fondazione “Notte della Taranta” per strutturare e rendere permanente la discussione e il dibattito, le produzioni culturali partendo dalla ricerca e dall’approfondimento. Per dare un luogo fisico, concreto, dove conservare e catalogare per rendere fruibili i tanti materiali frutto di indagini pubbliche e collettive come di appassionati campi di ricerca privati da mettere a disposizione di studiosi e di giovani investigatori. Ci saremmo potuti adagiare su un effimero e momentaneo successo, che è salito forte soprattutto nelle ultime edizioni cullandoci del privilegio di collaborazioni con straordinari musicisti che hanno in questi anni fatto omaggio alla dignità e alla forza della nostra musica di tradizione. Ma è proprio in questa capacità di non essere bersaglio fisso, di sfuggire ai rischi di posizionarsi su comodi e consolanti risultati che la Notte della Taranta potrà continuare ad esserci e a vivere. Mai avremmo pensato di essere protagonisti di un corto circuito così positivo per questa terra. Ma abbiamo imparato da ragazzi a leggere Bodini ed a praticare il suo bandire la marginalità e abbiamo provato a guardare in faccia quella luna a cui lui spesso parlava “ma tu, luna le incognite finestre illumini del Nord mentre noi parliamo, nel fondo di quest’esule provincia ove di te solo la nuca appare”. Provare a trovare il riscatto guardandola in faccia quella luna. Buona sorte, piccolo Salento.

Introduzione al Libro “LA NOTTE DELLA TARANTA 1998-2007” (breve storia per testi ed immagini dei dieci anni che hanno ‘rivoluzionato’ la musica popolare salentina)