LUISA BONOLIS
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La teoria dei gruppi, nata nel 1830 con le ricerche di Evariste Galois sulla risolubilità delle equazioni algebriche, si sviluppa nel corso del XIX secolo fino a permeare grandi settori della matematica. A cavallo del secolo, una svolta sorprendente della teoria ha luogo per opera di Burnside e di Georg Frobenius e del suo allievo Issai Schur: la creazione della teoria delle rappresentazioni dei gruppi finiti, che si dimostra una potente tecnica d’indagine per lo studio della struttura di tali gruppi. Durante questo periodo il calcolo è diventato il linguaggio della fisica dopo la trionfale esplosione della matematica delle equazioni differenziali iniziata da Newton e Leibniz; tuttavia, un certo numero di novità si affermano verso la fine degli anni ’20 del Novecento nella pratica corrente della fisica teorica, violentemente indirizzata verso l’astrazione dall’avvento di tecniche operatoriali introdotte dalla nuova meccanica quantistica e da proprietà che rappresentano una generalizzazione di concetti diffusi in geometria come le trasformazioni di Lorentz della relatività speciale e il calcolo tensoriale della relatività generale. In questo panorama, dove la “transformation theory” conferisce il look finale all’intreccio di matematica e fisica nella nuova meccanica quantistica, la teoria dei gruppi fa improvvisamente irruzione, nell’autunno del 1926, quando Jenö Pál Wigner introduce metodi gruppali nello studio della struttura atomica e molecolare e Hermann Weyl pubblica Gruppentheorie und Quantenmechanik. La reazione della comunità dei fisici è lontana dall’essere entusiastica. Negli anni ’20 e ’30 l’uso della teoria dei gruppi si estende, dalla chimica e dalla spettroscopia, alla fisica nucleare e delle particelle negli anni ’30 e ’40, ma irritazione e disgusto caratterizzano la tipica reazione dei fisici ancora negli anni ’50.
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