KOS, una tragedia dimenticata

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γράφει ο Pietro Giovanni Liuzzi www.ventoetesio.it

(…..) E’ con commozione e, a volte con rabbia, che Arghiri ripercorre con i ricordi la sua storia. Nel guardarlo mi accorgo che un fremito lo assale.
«A cosa stai pensando» gli chiedo.
Tarda a rispondere e poi:
« Era l’alba del 3 ottobre 1943; forse saranno state le quattro del mattino quando sentimmo sparare. Le truppe tedesche erano sbarcate di sorpresa sull’isola
sbaragliando le forze italiane che quindici giorni prima avevano ricevuto il supporto di quelle britanniche. Con tutta la mia famiglia ci recammo al rifugio dove trovammo tanta gente impaurita. Dopo qualche ora, alcuni tedeschi entrarono nel ricovero e ci obbligarono ad uscire. Cercavano militari nemici e li trovarono; li disarmarono e li portarono via.

Più tardi, da solo, mi recai al convento delle suore dove lavoravo come garzone. Attraversando la città, notai i cannoni antiaerei britannici, posizionati nelle piazze, abbandonati. Quando giunsi davanti all’ospedale vidi dei soldati tedeschi, molto giovani, come quasi tutti, che cominciarono a sparare contro le finestre del primo piano dietro le quali stavano militari feriti. All’improvviso apparve all’ingresso dell’ospedale la madre superiora, suor Boschiero, che cominciò ad urlare verso di loro.

Fu un miracolo, i tedeschi cessarono di sparare. Oltre questo fatto, in città non avvenne nulla di grave e, addirittura, nella parte orientale dell’isola non ci furono problemi. I difensori furono colti di sorpresa dalla rapidità dell’azione tedesca e, tranne qualche scaramuccia, si arresero o abbandonarono le posizioni per trovare rifugio sui vicini monti, o tentando la fuga per raggiungere la costa della Turchia. (….)

Kos dal 3 al 6 ottobre 1943

Occupare il Dodecaneso italiano è sempre stata la mira di Churchill; da tempo, egli aveva ordinato l’approntamento di un piano operativo che fu sempre avversato da Eisehnower. Egli, infatti,  voleva che tutte le forze militari fossero rese disponibili per l’invasione dell’Italia. Churchill riuscì, alla fine, a convincere il generale americano in quanto il successo militare lo avrebbe ottenuto con  poche forze.

Approfittando del marasma creatosi nelle Forze Armate italiane dopo la firma dell’Armistizio del 8 settembre 1943, Churchill ritenne giunto il momento di agire e, con il comando “Improvise and dare” dette il via all’operazione Accolade. Lo scopo era quello di presidiare Kos e Lero per dar man forte agli italiani, ma, soprattutto, per utilizzare l’aeroporto di Kos al fine di accorciare i tempi di volo degli aerei della RAF, dislocati al Cairo e a Cipro, per colpire obiettivi nei Balcani e dare copertura aerea alle unità navali nell’Egeo che avrebbero utilizzato la base navale di Lero.
Tre battaglioni furono inviati, uno per ogni isola prescelta: Kos, Lero e Symi. I movimenti britannici furono rilevati dalla sorveglianza aerea tedesca e dettero il via alla composizione di una Unità operativa sufficiente per occupare Kos e poi Lero.
L’attacco dei tedeschi avvenne con inusitata sorpresa; il naviglio raccogliticcio per trasportare l’unità di attacco sostò, nella notte tra il 2 ed il 3 ottobre, a sole due miglia dal litorale settentrionale di Kos. Alle prime luci dell’alba iniziò lo sbarco.
Nonostante le insistenti comunicazioni che pervenivano al Comando Isola dalle vedette e dalle postazioni lungo il litorale, l’allarme fu dato  solo verso le 10 del mattino dai comandanti italiano ed inglese. Era ormai troppo tardi: i reparti tedeschi avevano già rafforzato le posizioni sulla terraferma.
L’azione fu repentina. Sostenute dall’intensa attività della Luftwaffe, dotate di equipaggiamento ed armamento moderno, le Unità germaniche presero il sopravvento sulle scollegate azioni difensive italiane e britanniche. In alcune aree dell’isola la resistenza attuata mise in difficoltà gli avversari ma non fu sufficiente a fermarne l’avanzata. Dopo 38 ore di combattimento, il Comando italiano dichiarava la resa alle 14 del giorno 4 ottobre 1943.
Dopo i primi scontri gran parte dei britannici raggiunse il porto di Kos città e, con mezzi di fortuna, la Turchia (distante solo 4 km.) ma in 900 furono catturati e trasferiti nella Grecia continentale ricevendo il trattamento da prigionieri.
3000 italiani, dei 4000 presenti nell’isola, furono fatti prigionieri e ammassati nel Castello di Kos dove subirono, per 20 mesi, malversazioni e molti furono uccisi per banalità.
Gli ufficiali italiani al 3 ottobre erano 148: 7 passarono con il nemico, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, 10 ricoverati in ospedale poi trasferiti in Germania, 103 furono fucilati. Di questi 66 corpi vennero ritrovati in 8 fosse comuni ma solo 42 furono riconosciuti dopo la esumazione. Gli altri 37 corpi, da allora, non furono mai cercati sebbene si conoscano i possibili luoghi delle fucilazioni.

“gli ufficiali italiani devono essere fucilati” fu l’ordine di Hitler ma l’azione dei militari della Werhmacth del generale Wilhelm Friederich Müller fu crudele e perfida.
La tragedia di Kos è conosciuta solo dai Reduci dell’Egeo e dai congiunti degli ufficiali. “Ragion di Stato” ha segretato l’avvenimento sin dagli anni ’50.

Io sono stato quello che gli altri non volevano essere.
Io sono andato dove gli altri temevano di andare.
Io ho portato a termine quello che gli altri non volevano fare.
Io non ho preteso niente da quelli che non danno mai nulla.

Con rabbia ho accettato di essere emarginato
come se avessi commesso uno sbaglio.
Ho visto il volto del terrore, ho sentito il freddo ,
morso dalla paura, ho gioito per il dolce gusto di un momento d’amore.

Ho pianto, ho sofferto e ho sperato…. Ma, più di tutto,
ho vissuto quei momenti che gli altri dicono sia meglio dimenticare.

Quando giungerà la mia ora agli altri potrò dire
che sono orgoglioso per tutto quello che sono stato.

Un soldato

George L. Skypech