Tragedia Greca Antica: Una breve Revisione

di Georgios Katsantonis

Prefazione

Il contenuto cosmologico della tragedia antica si  fa la causa della  sopravvivenza  della  specie  nei secoli. Perchè la tragedia antica ha impostato l’ uomo  davanti a timèle in tutto il suo splendore  e  la vita umana in tutta la sua pienezza e l’ emozione  sovraumana  della tragedia è stata ed è  e sarà  insuperabile.
Il presente è diviso in brevi sezioni e include i temi: I caratteri della tragedia, la struttura interna della tragedia, il problema dell’ origine e il nome  della tragedia , la  Mimesi e la catarsi aristotelica, L’Apollineo e Dionisiaco di Nietzsche nonchè la tesi di Schopenhauer sul concetto della tragedia. Lo studio si conclude con un riferimento separato ad ognuno dei tre  poeti tragici.

L’ età d’ oro della tragedia antica

Evoluta durante l’ arco di parecchi secoli e svincolata dalle sue origini sacrali, la tragedia greca consegui la sua configurazione definitiva nel V secolo a.C., attraverso le opere dei tre massimi drammaturghi antichi:Eschilo,Sofocle ed Euripide. Poichè la società greca attribuiva al teatro, e in particolare alla tragedia, una funzione educativa di primaria importanza, le rappresentazioni venivano  finanziate con denaro pubblico (Coregìa)1 e ad Atene si giunse addirittura a pagare un’ idennnità agli indigenti affinchè partecipassero gratuitamente alle rappresentazioni.

Poichè la tragedia era incentrata su vicende capaci di provocare un forte coinvolgimento emotivo negli spettatori , tramite sentimenti di terrore (per le funeste consequenze delle azioni dei protagonisti) e di pietà (per le sofferenze subite dai personaggi), si riteneva che essa dovesse «purificare» coloro che vi assistevano(Catarsi), inducendoli a trarre una profonda lezione di vita dai fatti rappresentati.
Si organizzavano inoltre gare tra i tragediografi e una giuria di cittadini premiava le opere migliori.

I caratteri della tragedia

La tragedia prevede protagonisti di rango sociale elevato (talora personaggi storici famosi o appartenenti al mito ).
L’ azione drammatica inizia presentando una situazione apparentemente positiva , di rassicurante normalità ma ben presto vengono alla luce fatti sconvolgenti che trascinano ineluttabilmente uno o piu personaggi alla rovina o alla morte violenta, per sucidio o per mano di altri.

Quasi sempre all’ origine della catastrofe vi è l’ infrazione di un divieto (imposto dalla natura ,dagli dèi o dalle leggi umane) da parte del protagonista principale, il quale espierà duramente la sua colpa.
Poichè la tragedia verte su argomenti di valore universale (validi , cioè , per l’ intero genere umano) e di carattere esistenziale (incentrati su grandi temi di riflessione, come, ad esempio, il rapporto tra bene  e  male , tra legge e libertà, tra colpa e punizione). Gli autori ricorrono ad uno stile molto elevato e si avvalgono di un registro linguistico poetico , adeguato all’ importanza della rappresentazione.

Struttura interna della tragedia

La tragedia consta di piu parti:

– Prologo. E’ la parte che precede l’entrata del coro. Informa gli spettatori di cio che e avvenuto in precedenza o del punto in cui e giunto lo svolgimento dell’azione. In Eschilo e in Sofocle il prologo ha carattere drammatico, descrive la scena; in Euripide e narrativo, espone spesso gli antefatti del dramma.
– Pàrodos. E’ l’ingresso del coro nell’orchestra. Da destra, rispetto allo spettatore, il coro entra ordinato in file o per i singoli coreuti. Declama il canto d’ingresso, a ritmo di anapesti. Dispostosi nell’orchestra, il coro non la lascia piu.
– Episodi. Generalmente sono tre, sono scene di diversa grandezza, e corrispondono in un certo qual modo ai nostri atti.
– Stasimi (Stàsimon).Canti del coro “a pie fermo”, che chiudono l’episodio o lo commentano; in seguito sono espressioni solo liriche, che prendono appena spunto dall’episodio.
– Esodo(Èxodos – “uscita”).Canto di uscita del coro, o anche l’ultimo canto finale non seguito dal canto corale.

Il problema dell’ origine della Tragedia

Problema fra i più controversi della filologia classica è quello dell’origine della tragedia2. Le Fonti sono troppo contraddittorie per permetterci una soluzione.Secondo alcune Fonti c’è la data del 524 a.C., quando Tespi avrebbe rappresentato la prima tragedia ad Atene. Ma ciò è una convenzione, perché la prima tragedia si ha quando un uomo lascia la propria identità, riveste quella di un personaggio del passato e si contrappone al Coro, coinvolgendo emotivamente e psicologicamente tutto il pubblico e quindi rendendolo parte integrante della rappresentazione stessa. La tragedia nasce quando lo spettatore scopre che nell’azione teatrale egli può vivere un’altra realtà, diversa dalla propria, ma che in ultima analisi rivela la sua realtà, attraverso il monito, sempre presente nella tragedia, che la vita umana è dolore. Questa rivelazione della propria condizione, l’uomo-spettatore, la può sostenere solo filtrata e rispecchiata nella finzione del dramma, quasi a consolarsi che il dramma non è cosa reale e quindi anche il proprio dolore viene ad essere, in certo modo, esorcizzato e accettato.
Secondo Aristotele nella Poetica (il primo studio critico sulla tragedia),  la tragedia nasce nel ditirambo e dai suoi exàrchontes3. Egli ci dice che fu Arione di Metimna ad inventare la tragedia ed a comporre ditirambi4, i quali prendevano nome dal Coro. Aristotele ci informa anche che fu sempre Arione ad introdurre i satiri che, appunto, dicevano parole in metro ditirambo. L’esecuzione dei ditirambi sarebbe l’occasione per la nascita della tragedia e così si confermerebbe il dato storico, secondo il quale la tragedia si sviluppa nell’ambito del culto dionisiaco. La seconda teoria (è significativo per essa un passo di Erodoto) parla di Cori tragici per celebrare i patimenti (pàthos) di un eroe. Queste due teorie non si escludono, ma sono i prodromi di qualcosa che le trascende entrambe: la tragedia stessa.
All’ origine della tragedia gli antropologi avrebbero individuato, come appunto sembrerebbe confermare l’ etimologia stessa della parola5, un rito sacrificale propiziatorio in cui molte popolazioni tribali offrono ancora oggi animali agli déi, soprattutto in attesa della messe  o di una partita di caccia. Momenti cruciali che scandivano la vita degli antichi erano infatti i mutamenti astrali (equinozi e solstizi che segnavano il passaggio da una stagione all’altra).
I sacrifici avvenivano dunque in questi momenti, ad esempio poco prima dell’equinozio primaverile, per assicurarsi l’avvento della buona stagione. In epoca preistorica recente, tali sacrifici dovettero trasformarsi in danze rituali in cui era raffigurata la lotta primordiale del bene, il giorno, la luce, quindi la bella stagione, contro il male (la notte e l’inverno), e il trionfo  finale del bene sul male.

Il nome

Il termine “tragèdia” pare derivi dalla parola τράγος, capro, un animale presente nelle tradizioni mitologiche greche. Spesso infatti Dioniso era assimilato ad un capro e i componenti del coro che intonavano il ditirambo in onore di Dioniso erano satiri6, per meta uomini e per l’altra meta capri. Dal momento pero che nella tragedia nulla rimanda al capro, si dovra pensare che il termine tragedia indichi un “canto sul capro” o “canto per il capro”, intendendo tale animale vittima di un sacrificio agreste legato al culto dionisiaco o magari il premio di una gara poetica; oppure lo si dovra intendere come “canto dei capri”, cioe dei coreuti del ditirambo travestiti da capri. In ogni caso, tutte e tre le ipotesi ci riportano al culto di Dioniso

La prima parte del nome va messo in rapporto con “tràgos” “capro”, quindi:

1) ‘Canto sul capro’; animale-totem a cui è assimilato Dioniso.

2) ‘Canto per il capro’; come premio per un componimento poetico.

3) ‘Canto dei coreuti mascherati da capri’; questa terza interpretazione ci riporta al dramma satìrico.

Mimesi e catarsi

Come è già stato detto, il primo studio critico sulla tragedia è contenuto nella Poetica di Aristotele. In esso troviamo elementi fondamentali per la comprensione del teatro tragico, in primis i concetti di mimesi7 (μίμησις, dal verbo μιμεῖσθαι, imitare) e di catarsi8 (κάθαρσις, purificazione). Scrive nella Poetica: “La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e completa […] la quale per mezzo della pietà e della paura provoca la purificazione da queste passioni9″In altre parole, gli eventi terribili che si susseguono sulla scena fanno sì che lo spettatore si immedesimi negli impulsi che li generano, da una parte empatizzando con l’eroe tragico attraverso le sue emozioni (pathos), dall’altra condannandone la malvagità o il vizio attraverso la hýbris (ὕβρις – Lett. “superbia” o “prevaricazione”, i.e. l’agire contro le leggi divine, che porta il personaggio a compiere il crimine). La  nemesis finale rappresenta la “retribuzione” per i misfatti, punizione che fa nascere nell’individuo proprio quei sentimenti di pietà e di terrore che permettono all’animo di purificarsi da tali passioni negative che ogni uomo possiede. La catarsi finale, per Aristotele rappresenta la presa di coscienza dello spettatore, che pur comprendendo i personaggi, raggiunge questa finale consapevolezza distaccandosi dalle loro passioni per raggiungere un livello superiore di saggezza. Il vizio o la debolezza del personaggio portano necessariamente alla sua caduta in quanto predestinata (il concatenamento delle azioni sembra in qualche modo essere favorito dagli déi, che non agiscono direttamente, ma ex  macchina). La caduta dell’eroe tragico è necessaria, perché da un lato possiamo ammirarne la grandezza (si tratta quasi sempre di persone illustri e potenti) e dall’altra possiamo noi stessi trarre profitto dalla storia. Per citare le parole di un grande grecista, la tragedia «è una simulazione», nel senso utilizzato in campo scientifico, quasi un esperimento da laboratorio:
« La tragedia monta un’ esperienza umana a partire da personaggi noti, ma li installa e li fa sviluppare in modo tale che […] la catastrofe che si produce, quella subita da un uomo non spregevole né cattivo, apparirà come del tutto probabile o necessaria. In altri termini, lo spettatore che vede tutto ciò prova pietà e terrore, ed ha la sensazione che quanto è accaduto a quell’individuo avrebbe potuto accadere a lui stesso».10

Apollineo e dionisiaco: l’analisi di Nietzsche

Apollineo e Dionisiaco sono termini introdotti nell’ uso filosofico da Nietzsche per indicare l’ armonica  luminosità dello spirito greco, espressa esemplarmente dalla figura del dio Apollo , in opposizione e ad  integrazione alla componente passionale, dolorosa, oscura, espressa della figura del Dio Dioniso

Nietzsche si occupa della tragedia greca nel suo primo libro pubblicato, “La nascita della tragedia”. La sua ricerca parte dall’individuazione delle due componenti tipiche di ogni arte: apollineo e dionisiaco. Due elementi principali della tragedia: da un lato quello dionisiaco (la passione che travolge il personaggio) e dall’ altro, quello apollineo (la saggezza e la giustizia l’elemento razionale simboleggiato appunto dal Dio Apollo). Contrasto che sarebbe alla base della nemesis, la punizione divina che determina la caduta o la morte del personaggio.
Apollo è il dio dell’equilibrio, della misura; Dioniso è il dio della sfrenatezza, dell’estasi. L’apollineo è di conseguenza la parte razionale, il dionisiaco quella istintiva ed emotiva, di ogni opera d’arte. L’arte apollinea per eccellenza è la scultura, quella dionisiaca la musica. La tragedia è la perfetta sintesi di entrambe.

Nella cultura greca antica, afferma Nietzsche, «esiste un contrasto, enorme per l’origine e i fini, fra l’arte plastica, cioè l’apollinea, e l’arte non plastica della musica, cioè la dionisiaca».
“ Dapprima egli è divenuto, come artista dionisiaco, assolutamente una cosa sola con l’uno originario, col suo dolore e la sua contraddizione, e genera l’esemplare di questo come musica […], ma in seguito, sotto l’influsso apollineo del sogno, questa musica gli ridiventa visibile come in un’ immagine di sogno simbolica. ”
F. Nietzsche, La  nascita della tragedia

Questi due istinti così diversi camminano uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio, stimolandosi reciprocamente a sempre nuove e più gagliarde reazioni per perpetuare in sé incessantemente la lotta di quel contrasto, su cui la comune  parola di “arte” getta un ponte che è solo apparente: finché in ultimo, riuniti insieme da un miracolo metafisico prodotto dalla “volontà” ellenica, essi appaiono finalmente in coppia e generano in quest’accoppiamento l’opera d’arte della tragedia attica, che è tanto dionisiaca quanto apollinea11. L’uomo ha perso se stesso ed il terrore che ne deriva è troppo forte per essere tollerato: interviene allora la visione apollinea, che permette alla soggettività di riapparire come illusione. La visione apollinea è una visione salvifica senza la quale l’uomo non potrebbe tollerare d’esistere.

“ Proprio in questo, nel cogliere l’essenza della vita, la tragedia e l’arte in generale divengono la giustificazione estetica della vita. In altre parole l’esperienza che lo spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta. L’uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passioni contrastanti e realizza che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita. Impara a godere tanto dell’uno quanto dell’altra. Egli apprende  la natura tragica della vita. ”
F. Nietzsche, La  nascita della tragedia

Nietzsche supera il rassegnazionismo schopenhaueriano: l’uomo non deve fuggire dal mondo, non deve isolarsi e soprattutto non deve cercare di annientare i suoi istinti, ovvero la “volontà”. L’uomo deve piuttosto vivere secondo la sua natura, assecondando questi istinti proprio come fa con la ragione. L’uomo, per sopportare la vita, non deve allontanarsi da essa, ma avvicinarsi a quello che davvero è per sua natura. Lo seppero fare gli antichi greci, con la creazione del teatro e della tragedia greca; non ci riesce l’uomo moderno, ingabbiato dalla razionalità che ebbe il sopravvento dall’età socratica in poi.

Schopenhauer vide nel messaggio della tragedia un invito alla rassegnazione, ad allontanarsi da una vita di noia e dolore. F. Nietzsche, come scrive nella   nascita della tragedia , trovò nella tragedia greca la massima espressione artistica dell’uomo, la perfetta armonia di apollineo e dionisiaco: l’uomo greco seppe dare voce alla sua angoscia e ai suoi impulsi irrazionali in una dimensione razionale quale il teatro.

Il fatto che la tragedia non si risolve   semplicemente in una rappresentazione teatrale è evidente, nè  tantomeno essa  è semplicemente un’amara constatazione della miseria dell’uomo. W. M. Dixon afferma che la grandezza della tragedia è lo slancio che promuove verso il trascendente, il limite che l’eroe tragico cerca di superare. A. Camus  ritiene invece che il messaggio della tragedia sia quello di un progressivo ritorno all’umanità: il riconoscimento di tale  destino superiore quale limite invalicabile per la propria condizione porta l’uomo a riappropriarsi di tutto ciò che effettivamente gli è proprio. Per questo Edipo, cieco e vagabondo ma sorretto dall’amore delle due figlie, arriva a dire che “Tutto è bene”.

La tesi di Schopenhauer: Il mondo come volontà e rappresentazione

Schopenhauer dedica una parte della sua opera principale, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, alla tragedia. Ne analizza il messaggio e la funzione, in relazione al rapporto tra  l’uomo e la volontà. La tragèdia mette in scena la volontà in una lotta contro se stessa che, attraverso i terribili conflitti interni dei personaggi, la porta ad un’ autodistruzione. La tragèdia mostra la vita nel suo aspetto terribile. Ci presenta il dolore senza nome, l’affanno dell’umanità, il trionfo della perfidia, la schernevole signoria del caso e il fatale precipizio dei giusti e degli innocenti. E’ proprio nel dolore dell’umanità che si fa visibile, in tutta la sua pienezza, il contrasto della volontà con se stessa. E’ un’unica volontà, ma ha molteplici manifestazioni che si scontrano e dilaniano a vicenda: il dolore umano può essere prodotto in parte dal caso e  in parte dall’ errore, in parte dagli dei e in parte dall’ uomo. Questa lotta continua provoca, in alcuni individui maggiormente e in altri meno, la rivelazione della volontà stessa e, di conseguenza, il suo annientamento. L’accecamento di Edipo è un chiaro esempio. Edipo, accecandosi, si libera da ogni legame col mondo terreno e da ogni impulso irrazionale: era stata proprio la cieca volontà a guidarlo verso l’omicidio del padre e l’ incesto con la madre. Edipo, diventato cieco, guarda la volontà per come è davvero e, proprio per questo, ne annulla l’effetto.

La tragèdia, poi, trasmette un preciso messaggio: mostrando le sofferenze degli uomini e l’ insensatezza della vita, suggerisce all’ uomo che essa non merita il nostro interesse e quindi produce in lui rassegnazione. Il senso del tragico promuove quindi la consapevole rinuncia della felicità: l’uomo, riconoscendo il significato più profondo della vita, spezza momentaneamente le catene della volontà con il suo rifiuto di vivere.

I più imprtanti e riconosciuti autori di tragedie furono Eschilo Sofocle ed Euripide, che affrontarono i temi più sentiti del mondo ellenico del  V  secolo a.C.

La loro interpretazione della tragèdia è differente: le opere di Eschilo sono incentrate sul ruolo della giustizia divina e sull’ indagine della colpa umana. Sofocle sposta l’ attenzione dal significato complessivo del mito all’ individuo-eroe, visto nella sua tragica opposizione al destino (Aiace, Edipo Re) e nella sofferente fedeltà al dovere eroico (Elettra, Antigone).L’ interesse di  Euripide  si appunta invece sulle sofferenze e le peripezie cui l’ individuo  è costretto dalla irrazionalità delle sue passioni  o  dalle forze iperumane che presiedono la realtà  risservando  alle divinità un ruolo di secondo piano.

ESCHILO  
La giustizia divina

Alle grandi feste dionisiache del 500 a.C partecipò,tra gli altri ,anche il giovane Eschilo, nato presso Atene nel 525 a.C. Non risultò quell’ anno tra i vincitori , ma si mise in luce per la sua grande intelligenza e bravura perchè, come accadeva a quei tempi, non solo si presentò con una tragedia ,per la quale aveva composto anche la musica, ma l’ interpretò e ne curò l’ allestimento scenico.Eschilo apparteneva ad una famiglia ricca, ed aveva ricevuto un’ educazione raffinata. I bambini ateniesi di allora cominciavano a frequentare la scuola all’ età di sei anni. Imparavano a scrivere ,a leggere ,a fare  i conti , poi frequentavano il ginnasio dove  l’ insegnamento si allargava alle arti al fine di valorizzare non sono l’ intelligenza, ma anche la forza fisica (mens sana in corporem sano) che sarebbe stata molto utile in guerra. Anche  Eschilo aveva preso parte alla lotta per la libertà della sua patria , e la sua partecipazione  alla battaglia di Maratona, costituì un’ esperienza fondamentale per completare la sua formazione.
Al teatro si avvicinò,come racconta la leggenda , dietro suggerimento del dio Dioniso, che gli era apparso in sogno per consigliargli di intraprendere la carriera di autore e attore. La sua  partecipazione alla gare drammatiche delle grandi feste dionisiache fu costante e proficua. Nel 484 vinse il primo premio, riuscendo poi a collezionare in totale ben tredici vittorie! Un traguardo importante che lo rese famoso in tutto il mondo Greco. Soggiornò a lungo in Sicilia dove morì ,nel 456 a.C.’ Anche la sua morte è legata ad una leggenda. Si tramanda infatti che fu ucciso da una tartaruga, caduta da un’ aquila in volo, che piombò di colpo sulla sua testa.
Eschilo scrisse piu di 70 drammi12,dei quali  sette soltanto sono giunti sino a noi. Si ispirò alla mitologia e  ai poemi di Omero. Il suo capolavoro, ancora oggi rappresentato , è  l’ Orestea, constituita da tre tragedie, e per questo chiamata trilogia :Agamemnone, le Coefore e le Eumenidi. La tragedia di Eschilo è fortemente imperniata sul contrasto tra uomini e dei, in particolare sulla responsabilità dei primi nei confronti delle loro azioni e sulla loro sottomissione alla legge divina, una giustizia suprema che ne punisce le colpe e i comportamenti sbagliati (esemplare in questo senso il personaggio di Prometeo, a cui Eschilo dedica una trilogia). In Eschilo , la struttura drammatica acquista plasticità dal contrasto delle situazioni, dalla potenza evocativa ,degli oggetti, dalla sofferenza lacerante e dal tromento dei grandi personaggi , da un linguaggio teso, denso, ricco di anacoluti, metafore,neologismi. Si stabilisce un chiaro rapporto tra colpa e pena. Gli dei  puniscono la tracotanza, la trasgressione, la sopraffazione. Il mondo tragico di Eschilo è spietatamente giusto e non lascia scampo a chi si è macchiato di una colpa o a chi eredita una colpa commessa dai propri antenati. Attraverso il dolore, che ogni uomo è destinato a soffrire, egli matura la propria conoscenza. L’uomo si rende conto, scontando la sua pena, dell’esistenza di un ordine perfetto e immutabile che regge il suo mondo: la giustizia divina,13 tuttavia l’ uomo puo affermare la libertà del proprio volere.
L’ importanza di Eschilo nella storia del teatro è dovuta non solo alla grande belezza delle sue opere, ma anche ad alcune importanti innovazioni.Eschilo infatti introdusse il secondo attore, curò la parte spettacolare delle rappresentazioni usando scene dipinte e macchinari teatrali si servì delle maschere, perfezionando quelle usate da Tespi, e per dare più rilievo fisico ai personaggi, introdusse per gli attori l’ uso di una scarpa dalle suole altissime, chiamata ‘’coturno’’.

SOFOCLE         
     Il destino spietato

Clistene, nel 509 a.C., aveva abolito la divisione della cittadinanza in classi, e adottato una suddivisione, a seconda della zona di provenienza, in dieci tribù. Ognuna di queste sorteggiava cinquanta cittadini che facevano parte della ‘’Bulè’’ ,un consiglio di cinquecento membri, che preparava le leggi ed aveva  importanti compiti politici.
Alla Bulè era affidato anche l’ incarico di scegliere la giuria per i concorsi abbinati alle gare drammatiche delle grandi feste dionisiache. Si procedeva per sorteggio a scegliere cinque cittadini, che formavano  una  giuria  con le più  ampie garanzie di serena giustizia.
La rappresentazione delle tragedie costituiva un’ espressione della tradizione religiosa e per questo era tenuta in grande considerazione, come grandissimo era il rispetto di cui godevano, a quei tempi ,i poeti. Gli spettacoli tragici , data la loro importanza, occupavano  gli ultimi tre giorni delle feste grandi. Al vincitore spettava  in premio una corrona d’ alloro. Quest’ ultima aveva sostituito il trofeo vivente , costituito da un caprone, che ai tempi di Tespi veniva consegnato al primo classificato.

Sofocle (479 circa- 406) riportò la sua prima vittoria nel 468 a.C. Anche Sofocle, come Eschilo , proveniva da una famiglia benestante ad aveva ricevuto un’ ottima  educazione. Era particolarmente esperto nella danza e nella musica –suonava con grande perizia la cetra, uno strumento a corde molto in voga nell’ antica Grecia  – e fu scelto per la sua bravura a giudicare il  ‘’ coro degli efebi’’ che fasteggiavano e cantavano  la vittoria navale di Salamina(480 a.C.)
La vita di Sofocle coincise con lo splendore e la ricchezza di Atene. Sofocle prese parte attiva alla vita politica e sociale della sua città e  scrisse circa 130 drammi, totalizzando alle gare dionisiache ben 24 vittorie, contro le 13 di Eschilo e le 5 di Euripide.Tra i sette drammi giunti sino a noi, spiccano Edipo Re e Antigone, più volte rappresentati in epoca moderna. Nella tragedia greca, che aveva per argomento le gesta di dèi o di eroi, il compito  degli avvenimenti, era affidato al coro, costituito dai correuti che si esprimevano attraverso la recitazione, il canto e la danza. Il coro aveva un numero fisso di coreuti. Sofocle portò da 12 a 15 il numero dei coreuti, e , l’ altra sua innovazione importante, fu l’ introduzione del  terzo attore.
Gli attori , che dovevano sempre sostenere più parti , comprese anche quelle femminili perchè alle donne non era permesso di apparire sulla scena , usavano la maschera e, per apparire più imponenti , anche le scarpe alte introdotte da Eschilo. Vestivano poi abiti imbottiti e speciali acconciature per dare più risalto al personaggio. Introdusse  l’uso di scenografie.14
Come un moderno uomo di teatro, Sofocle, nelle sue tragedie, dette grande rilievo ai personaggi, analizzandone con sapienza i caratteri , e il suo linguaggio pur essendo nobile, aveva il grande pregio di essere comprensibile a tutti.
Sofocle fu molto amato dai suoi contemporanei anche per le sue straordinarie doti di uomo saggio e colto, e alla sua morte, fu rimpianto e onorato come un eroe.

Euripide
Dal mito all’ uomo

Euripide nacque a Salamina nel 480 a.C., nell’ anno quindi della grande vittoria riportata dagli ateniesi sui pensiani, proprio nella sua città  natale. Si dedicò in gioventù alla filosofia, alla poesia e all’ atletica. Fu anche un danzatore esperto. Di carattere scortese e solitario, non fu nè compreso nè amato dai suoi contemporanei, e fatto segno a violenti attacchi contro il suo modo di vivere, considerato immorale. Per questo , nella maturità, preferì abbandonare Atene, per ritirarsi in Macedonia dove visse alla corte del re Archelao, noto mecenate di artisti e poeti. La leggenda narra che morì nel 406 a.C. a Pella di Macedonia, sbranato dai cani del re, durante  una partita di caccia. Fu considerato il più autorevole rivale di Sofocle, ma pur partecipando a numerose gare drammatiche, riuscì a vincere solo cinque volte. Sofocle, che gli sopravvisse, nonostante questa rivalità che aveva  condizionato in vita i loro rapporti , in occasione della sua morte,in segno di rispetto e ammirazione, presentò al pubblico i coreuti  vestiti a lutto.  Di Euripide si conoscono novantadue drammi; sopravvivono diciotto tragedie di cui una, il Reso, è generalmente considerata spuria, e un dramma satiresco, il Ciclope.Tra le sue opere Ecuba, Medea , Ifigenia e Le Troiane, che vengono spesso rappresentate anche ai nostri giorni, e che sono una trangibile testimonianza del suo lirismo e della sua straordinaria grandezza, doti fortunatamente valorizzate dai posteri.

Anche Euripide, come i suoi predecessori, trasse gli argomenti dei suoi drammi dalla mitologia, e infatti nelle sue opere ritroviamo i nomi tradizionali di dèi ed eroi più conosciutì, e il loro bagaglio di leggende. Ma, e in questo consiste la grande forza innovatrice di Euripide, per la prima volta questi personnagi ‘’ mitici’’, diventano ‘’umani’’ e quindi non sono perfetti, come voleva la consuetudine, ma si presentavano con le loro debolezze, i loro peccati, i loro rimorsi. Soffrono o sono felici proprio al livello di comuni mortali. In questa nuova dimensione i personaggi acquistano un altro respiro e nuovo vigore, e nascono le straordinarie figure di Ecuba, la sventurata moglie del re Priamo, che con Cassandra e Andromaca esprimono magistralmente tutto il dolore delle done di Troia per il tragico destino toccato alla loro città vinta e sconvolta;di Medea, nella sua sofferta storia d’ amore e di morte­-di Ifigenia , la figlia di Agamemnone, consacrata dal padre al sacrificio alla dea Artemide, e da questa salvata e trasformata in cerva, che rappresenta un’ esaltazione della purezza femminile. Sul personaggio di Ifigenia Euripide scrisse due tragedie: Ifigenia in Tauride e Ifigenia in Aulide, quest’ ultima rappresentata dopo la sua morte. I temi fondamentali della sua riflessione:

Il comportamento delle divinità.
Euripide non nega l’ esistenza delle divinità, ma è assilato dal dubbio circa i criteri della loro giustizia e della loro bontà. La fede del poeta si trova spesso a vacillare di fronte all’ assurdità del dolore.

Il comportamento dell’ uomo. Euripide non ha fiducia negli uomini che considera incoerenti e insinceri. Egli è convinto che nulla possa recare conforto all’ intricata esistenza umana:ricchezza e gloria sono beni effimeri, la libertà è un illusione, la sventura colpisce senza regole e con imparziale crudeltà. La vita,, dunque, è male  di per sè e non prevede alcun rimedio: l’ unica soluzione al dolore che essa inevitabilmente comporta è la morte.

La solitudine dell’ individuo.
Ogni essere umano è consapevole di poter contare soltanto sulle sue forze, poichè ciascuno vive la propria esistenza e soffre i propri dolori in assoluta solitudine. L’individuo è continuamente tormentato dalla complessità del proprio animo, spesso sconvolto da sentimenti contraddittori(ad esempio, la pietà di madre e il desiderio di vendetta in Medea).
La figura femminile. Le protagoniste femminili dei drammi, come Andromaca, Fedra e Medea, sono le nuove figure tragiche di Euripide15. Le donne campeggiano in gran parte del teatro euripideo, svolgendovi sovente ruoli violenti o per  lo meno inquietanti.Esse sono intriganti,vendicative, temerarie, infide, «più rovinose del fuoco e delle vipere».Fanno eccezione le madri, di solito figure terenissime (a parte il caso di Medea).

Ad Euripide , che introdusse anche importanti innovazioni tecniche per quanto riquarda  i costumi e l’ impiego del coro,spetta quindi un posto d’ onore nella storia del teatro, perchè schiuse la strada al dramma moderno e talvolta lo anticipò. Non è immeritata quindi la gloria che Euripide incontrò subito dopo la sua morte proprio nella città da dove era fuggito. Ci sono pervenuti diversi documenti grafici e pittorici che documentano la rappresentazione delle sue opere  e che ci permettono anche di avere notizie su come si era evoluto sia il palcoscenico sia il modo di rappresentare la tragedia.

Appunti
1. Incarico di allestire un Coro  lirico o drammatico, che lo stato assegnava a un cittadino agiato, perchè sostenesse le spese necessarie e ne curasse l’ organizzazione.
2.Gennaro Perrotta, Storia della letteratura greca,42.
3. Aristotele. Poetica, 4.
4. Aristotele. Poetica, 4
5.Il termine tragèdia ( dal gr. Tragos, ‘capro’ e odè, ‘canto’ ) è stato interpretato come riferito al sacrificio rituale che forse  concludeva la rappresentazione originaria, o ai costumi dei coreuti  (Aristotele) , o al premio destinato al drama migliore. Le diverse interpretazioni sono connesse con la questione delle origini della tragèdia, fondamentale nellafilologia classica e irrisolta. In generale si suppone che elementi originari della tragèdia siano le trame buffe dei cori satireschi e il ditirambo cantante in onore di Dioniso, entrambi di origine peloponnesiaca; quando dal ditirambo si staccò, per instaurare uno scambio di battute, un attore (hypocritès), divenne rappresentazione. Secondo Orazio, autore di questo processo fu Testi , mentre per Erodoto il ditirambo fu portato a dignità letteraria da Arione che , secondo il Lessico Suda, gli avrebbe conferito anche lo stile tragico. Questi due elementi si unirono con il culto degli eroi e, alla fine del sec. VI a..C.,  in Attica , i contenuti mitico – religiosi dell’ epica e della lirica corale si sovrapposero a quelli originari : le parti cantante (cori)   mantennero un linguaggio simile al dorico della lirica corale, quelle dialogate adottarono metri piu vicini al parlato (tetrametro trocaico e trimetro giambico) già usati ad Atene da Solone. Il contenuto serio dei vari cicli epici (troiano, tebano, argivo) spiega l’ indipendenza della tragèdia attica dai miti di Dioniso: essa non è più  un fatto rituale , anche se il legame con il culto dionisiaco è provato dalle occasioni della rapresentazione e dal dramma satiresco che,  in coda alle tre tragedie, costituiva il pezzo conclusivo della tetralogia rapresentata. Nel sec. V a.C. le rapresentazioni tragiche, collocate a fine dicembre (Piccole  Dionisie), gennaio (Lenee) e marzo (Grandi Dionisie), avevano forma di agone drammatico, previa la scelta, tra quelle proposte, di tre tetralogie , rappresentate in tre giorni consecutivi, nell’ arco dell’ intera giornata. Alla fine della festa , cui esse rimasero  sempre legate, dieci  giudici assegnavano la vittoria a una tetralogia.
6.  Sàtiro è genio dei boschi, delle acque, dei monti, che partecipava, assieme a baccanti e sileni, al corteo di Dioniso, rappresentato con gambe caprine, coda, spiccate caratteristiche falliche e gli si attribuiva una sessualità aggressiva nonchè un carattere burlesco e lascivo.
7.  Τermine che in greco (mimesis) significava «imitazione, riproduzione», e in particolare «rappresentazione teatrale».
8. Termine che  in Greco (katharsis) designava la purificazione rituale da una contaminazione (miasma), visibile o invisibile ,come  il sangue e la colpa.  Col sec. Va.C. e la medicina ippocratica, catarsi diviene termine medico a significare  l’ evacuazione di escrementi o di umori patogeni, naturale o provocata da emetici o purganti (in tale accezione è anche sinonimo di mestruazione). In senso filosofico , Platone definisce la morte una purificazione (separazione) dell’ anima dal corpo e la vita filosofica esercizio e cura di tale purificazione, che sola può restituire all’ anima la trasparenza delle specie ideali (Fedone). Catarsi filosofica  è anche , nel Sofista , la purificazione dell’ anima distinta da quella del corpo ,come una liberazione dai mali iteriori, la cattiveria e l’ ignoranza e la catarsi piu intima e fondamentale del pensiero è quella che confuta il confuta il sapere presunto e la falsa opinione de sè, è l’ arte della “nobile sofistica’’ di Socrate.  Aristotele, invece,insieme all’ uso medico del’ termine, comprare , nella Poetica , il celebre tema della catarsi tragica e, nella Politica , quello della catarsi musicale. Secondo l’ interpretazione tradizionale, la catarsi della tragedia è la purificazione dell’ anima dello spettatore dalle passioni dolorose della pietà (compassione) e della paura attraverso la pietà e la paura ispirate dalla stessa azione tragica.. La tragedia è un’ imitazione drammatica di fatti gravi e luttuosi ; cosi la pietà e la paura che tale imitazione suscita non sono la pietà e la paura che si provano di fronte a fatti reali;  ma  l’ imitazione tragica trasforma  la pena reale in piacere, purificando il simile col simile.
9. Aristotele, Poetica, 49b, 6, 24-28.
10. Jean-Pierre Vernant. Mito e tragedia nell’antica Grecia. La tragedia come fenomeno sociale, estetico e psicologico. Einaudi, Torino 1976.
11. F. Nietzsche. La nascita della tragedia. In Opere scelte, trad. it. di L. Scalero, Longanesi, Milano 1962, pp. 85 e 173.
12.  Secondo il lessico bizantino Suda, Eschilo compose novanta drammi; cfr. Privitera-Pretagostini,  218.
13. Zeus  in Eschilo è sempre portatore del modo corretto di ragionare ed agire.Con eccezione il Prometeo incatenato, in cui Zeus assume atteggiamenti tirannici.
14. Sinisi Silvana, Innamorati Isabella, Storia del teatro: lo spazio scenico dai greci alle avanguardie storiche. Bruno Mondadori, Milano 2003, pag. 3
15. Anne Norris Michelini, Euripides and the Tragic Tradition, University of Wisconsin Press, 20

GEORGIOS KATSANTONIS  è dottore in Studi Teatrali presso la   Facoltà di studi Umanistici e  Sociali all’ Università degli Studi di Patrasso.

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