Ελληνόφωνα της Κάτω Ιταλίας, 24grammata.com
Οι παραδόσεις των χωρικών του Μπόβα
Bruno Traclò
Siamo stati svezzati con fette di pane condito con l’olio di oliva. Siamo cresciuti con il pane e le olive per companatico, quando non esistevano le merendine e l’industria agroalimentare non aveva ancora convinto le famiglie , con l’insistente pubblicità ai suoi prodotti poco sani, a modificare le loro abitudini alimentari. Per merenda mangiavamo una semplice fetta di pane con olio e zucchero : ci rendeva felici vedere quel fluido mentre si coagulava con lo zucchero per formare la dolce glassa con la quale ci saremmo leccati le labbra. Consumavamo quello spuntino gocciolante per strada e sapevamo che la vista di quel pane avrebbe stimolato l’acquolina in bocca agli altri bambini del vicinato. Con loro condividevamo , liberi, lo spazio della via, della nostra” ruga” di appartenenza; allo stesso modo condividevamo quel pasto, perché nessuno rimanesse a bocca asciutta, perché nessuno “spilasse”.Spezzettare quel pane in tanti bocconi gocciolanti , uno per ciascuno, era il gesto che rinsaldava la comunità, era il legame che ci avrebbe tenuti uniti per l’intera vita. Scambiarsi quel piccolo dono è stata la nostra prima scuola di solidarietà. Da allora , lo scambio dei doni mantiene il sapore del ricordo di quella fratellanza e di quel desinare insieme. Fin dall’infanzia, quindi, la soave fragranza dell’olio di oliva è impressa nella nostra memoria olfattiva e la cordiale presenza dell’albero di olivo ci accompagna nei nostri spostamenti quotidiani. Ci appare del tutto familiare associare quest’albero al sole e al mare Mediterraneo. Non è affatto una cosa strana, considerando la sua proverbiale longevità, ritenerlo il testimone delle vicende degli uomini che , fin dall’antichità, assieme ad esso , si sono radicati nelle terre delle tre penisole bagnate da quel mare, Italia, Grecia e Spagna, fino al lontano Oriente mediterraneo. Di quelle remote terre orientali parla una leggenda greca che collega le radici europee all’Asia tramite l’olivo. Si narra che dalla Fenicia provenisse la colomba che portò un ramoscello d’ olivo al tempio di Zeus nell’Epiro. Un’altra leggenda, tramandataci dallo storico Erodoto, ci informa che gli egineti, scontenti per la sterilità delle loro terre, litigassero con gli Ateniesi poiché , al contrario, quest’ultimi vivevano su terre ricche e feconde. Per dirimere la contesa , gli egineti si appellarono alla Sibilla, la quale consigliò loro di innalzare statue alla dea della fertilità. Alla domanda se le statue dovessero essere di bronzo o di marmo, la Sibilla specificò loro che, invece, dovevano essere di legno di olivo. Per questo motivo gli egineti si rivolsero agli Ateniesi, perché a costoro la dea Atena aveva fatto dono dell’olivo che, pertanto, era diventato la pianta più sacra. Per la Bibbia , nella Genesi, la pace stabilita fra Dio e gli uomini , dopo il Diluvio, è indicata da una colomba con in becco un ramo di olivo. Anche le statue di foglie di olivo intrecciate, che i bovesi portano in processione la domenica delle Palme, sono il simbolo della riconciliazione con Dio . Cosa hanno da dirci queste figure femminili , fatte di fiori e di frutti?
Parlano della natura e dei suoi doni, della terra nostra madre, degli alberi, delle piante, dell’acqua e degli animali. Parlano del creato. Parlano dei contadini e delle loro fatiche nei campi, della loro abilità a trarre ricchezza dalla natura e non dal mercato . Per questo motivo è diverso il loro rapporto con il lavoro che non necessariamente è retribuito con il denaro, bensì con lo scambio e con l’aiuto reciproco. Persiste, infatti, fra le famiglie di Bova, l’antica consuetudine bizantina dell’ “ Angarìa”, cioè lo scambio solidale e gratuito del lavoro. Negli anni della mia infanzia erano i contadini che la domenica delle Palme confluivano a Bova dalle campagne circostanti, recando con sé le loro variopinte “Papazze”. Per mezzo di quelle foglie di olivo intrecciate a forma di donna, quegli uomini si rivolgevano a Dio, per propiziarsi abbondanti messi, speranza di prosperità per loro stessi e di sopravvivenza dell’intera comunità. La processione festosa, terminante con lo smembramento delle Papazze e la distribuzione delle loro parti, era il dono degli uomini di campagna a quelli del centro : ai commercianti, agli artigiani, ai professionisti. Era patto di convivenza pacifica e solidale. Il rapporto tra periferia e centro, tra contadini e artigiani oggi è compromesso. In meno di un secolo, l’industrializzazione , costruita con gli uomini e le ricchezze sottratte alla società contadina, ha causato l’annientamento di quella società, l’emigrazione verso le città, la lenta agonia della lingua greco-calabra, il deprezzamento delle abilità e degli stili di vita , il degrado ambientale. Ma nonostante tutto, i contadini resistono, anzi spesso sono quelli più giovani ad essere attaccati alla terra e ad opporsi a questo processo distruttivo. Di qui il loro riappropriarsi dell’antico rito delle Palme , al quale hanno dato nuovo vigore . Fintantoché nella bovesia la presenza degli anziani contadini sia un fatto certo, è superfluo e prematuro voler “musealizzare” la loro civiltà : se ciò accadesse, la processione delle pupazze morirebbe e le pupazze verrebbero seppellite in uno dei tanti musei agro-pastorali . È opportuno, invece, aiutare i contadini anziani a tramandare le loro competenze , le loro abilità , la loro saggezza, il loro sapere. E’ offensivo per la loro cultura trasformare il rito delle Palme in uno dei tanti “eventi “ sedicenti culturali e trasformarlo in attrattiva per i turisti della domenica. Diversamente, sono benvenute le persone che con noi bovesi vorranno partecipare al rito e condividere una giornata di gioia . Spettacolarizzare questa particolare espressione della sacralità popolare della comunità bovese equivale a snaturarne il suo profondo significato . I giovani, i discendenti degli abili e tenaci contadini di Bova devono opporsi alla mercificazione e alla banalizzazione della loro cultura.
Bova, lì 31/03/2012