Λίγα λόγια για τη ζωή και το έργο του Τζιοβάννι Αντρέα Κρούπι

24grammata.com – Αφιέρωμα: Οι Ελληνόφωνοι της Κάτω Ιταλίας

STO SINERTIMA*  TU GIOVANNI ANDREA CRUPI

(γλώσσα Ιταλική και Γκρεκάνικη)

γράφει ο Pasquale Casile

Il 7 dicembre del 1984, gravato da un morbo incurabile, moriva con socratica determinazione Giovanni Andrea Crupi, interrompendo precocemente la sua straordinaria attività di ricercatore infaticabile e rigoroso, lasciandoci negli ultimi scritti, l’intima testimonianza di un uomo che all’alto magistero degli antichi filosofi aveva consacrato l’intera esistenza, agendo  in piena coerenza con gli intramontabili ideali libertari e vivendo unicamente per restituire dignità storica, sociale e culturale alla sua gente, i grecanici: gli ultimi inconsapevoli continuatori diretti, della grecità megaloellenica.
Al grecanico Giovanni Andrea Crupi si era interessato sin da studente. Curioso,  controcorrente, anarchico individualista, aveva appreso la “glossa” di Bova dalla viva voce dei pastori e dei contadini semi/analfabeti, in tempi in cui ciò non era affatto facile e non costituiva ancora un affare remunerativo (a differenza di quanto accade oggi con i fondi CEE, artigliati dai soliti noti); vi erano infatti nei nostri chorìa, condizioni generalizzate di povertà e degrado territoriale (frane, smottamenti, alluvioni) che inducevano molti dei parlanti a emigrare dai piccoli borghi dell’entroterra per recarsi nei più vicini centri urbani costieri in cerca di miglior fortuna. A prevalere su chi restava era spesso un forte senso di disagio e di frustrazione crescente, nei confronti di una cultura considerata dai più – nella migliore delle ipotesi – un’arcaica appendice del mondo rurale, destinata col tempo a scomparire e – nella peggiore – l’umiliante retaggio di quella povertà estrema, che si voleva almeno in linea di principio abbattere o tentare di negare, per non essere appellati pubblicamente col nomignolo sprezzante di “paddechi”, “zangrèi” o “tamarri”, cedendo così all’influsso omologante esercitato dalla cultura egemone borghese che negli anni del “boom” economico aveva preferito – come denunciava, peraltro inascoltato Pasolini – l’Italia “da cartolina” creata dai mass-media, all’Italia reale degli sfollati, degli emigrati, dei “perpatuli” che vivevano spesso nelle misere  baraccopoli cittadine.
Inizia da qui lo sfaldamento del tessuto sociale grecanico che il Crupi cerca con coraggio di arginare e ricomporre, fornendo mezzi concreti di lotta a chi, come lui, vedeva nella cultura grecanica e soprattutto, in una saggia politica linguistica, il più efficace strumento di redenzione e di riscatto morale, per tentare di sottrarre le giovani generazioni alla logica vetero-coloniale dell’italianizzazione forzosa, arrogante e acritica, imposta a tutti i costi e a tutti i livelli da scuola, esercito e mezzi di comunicazione di massa, attraverso i modelli conformisti e gli stereotipi culturali negativi con cui si era soliti  stigmatizzare non solo l’uso del grecanico in pubblico e in famiglia, ma anche quello del dialetto, poiché intriso di termini e costrutti linguistici grecizzanti.
Contro costoro che avevano la pretesa di “civilizzare” chi la civiltà aveva già da secoli esportato in Europa e nel mondo, nasceva per volontà del Nostro il “Cosmo Cinurio” (ovvero il Mondo Nuovo), un movimento di critica militante, senza statuto, forte tuttavia di alcune granitiche convinzioni che possiamo così sintetizzare:
1) il grecanico non è privo di valore socio-economico, giacché la rinuncia dei parlanti alla propria lingua d’origine prelude alla condizione tipica dei popoli dominati, che subiscono scelte politiche calate dall’alto; 2) i grecanici non sono “fossili” viventi, buoni cioè solo per il microscopio dei linguisti, degli antropologi o dei genetisti, ma uomini con bisogni concreti, recanti istanze politiche e giuridiche precise, che non si esauriscono con il mero riconoscimento linguistico dei superstiti villaggi ellenofoni, ma pertengono alla possibilità di vivere e lavorare nei territori di nascita, o comunque quelli a essi più contigui, preservando e favorendo le attività economiche e produttive dell’ambiente “ecolinguistico” (cfr. C. Hagège L’uomo di parole, pp. 194-196); 3) il grecanico non è un dialetto neogreco, ma una lingua autoctona e autonoma che merita di essere studiata e conosciuta non in subordine a qualsivoglia altra lingua.
Su quest’ultimo punto, da insegnante del locale Liceo scientifico di Bova Marina il Crupi, fine e acuto intelletto anche in ambito filologico, sperimentava per contrastare il declino linguistico del greco bovese un approccio didattico innovativo, pensando e realizzando una grammatica che non si strutturava unicamente sul piano lessicale e normativo, ma si avvaleva in forma scritta di innumerevoli testi orali ed espressioni idiomatiche, la cui intensità espressiva e  sferzante ironia, restituivano integro il respiro della lingua del popolo, offrendo con ciò alla “coscienza offesa” dei grecanici – come dichiarerà il Piromalli – “un’arma politico-culturale da consegnare ai fratelli di Aspromonte” (A. Piromalli Storia della letteratura calabrese, p. 249).
Una chiara visione della questione grecanica aveva portato quindi G. A. Crupi a privilegiare nella sua grammatica per la parte antologica, quale genere letterario trasversale ad ogni età, la favola esopica bovese, anello di congiunzione tra la millenaria memoria, sedimentata nella bocca degli anziani, e le più giovani e dinamiche energie intellettuali esemplificate, allora come oggi, dalle orecchie dei bambini, che in modo assai divertente si sarebbero cimentate nell’ascolto e nella traduzione dei testi nel comune dialetto romanzo, con l’ausilio dei nonni, all’occorrenza assistiti dall’agile dizionarietto ivi presente.
Con il libro La “glossa” di Bova, si concretizzava pertanto un modello d’azione e di pensiero che guidava il lettore a una salda consapevolezza: il grecanico non è una semplice parlata bensì una lingua, che può  acquisire dal suo interno, autonomamente, senza innesti neogreci, piena dignità letteraria.

*Η διευκρίνηση γράφτηκε στην παρακάτω μορφή από τον ίδιο τον Πασκάλη Καζίλε:  Το “Sinertima” ειναι τον ουσιαστικο του ρ. “συνερχομαι”, τι στο γρεκο βουτανο (Βουα, η Χωρα μου) σημαινει “η μνημη” του Γ. Α. Κρουπι, ο πρωτος συγγραφευς που εκδοθηκε τους μυθους του Αισωπου στην γλωσσα μας στο 1979. Ο Κρουπι αυτοκτονησε με το τουφεκι ποτε ανακαλυψε οτι ειχε ογκο. Στον ταφο τα τελευταια λογια ηταν

Eplatezza ‘zze filosofia,

egrazza stin glossa tu Vua,

agapia tin anarchia.

Μίλησα για τη Φιλοσοφία

Έγραψα στη γλώσσα του Μπόβα

Αγάπησα την Αναρχία

Ho parlato di filosofia,

ho scritto nella lingua di Bova,

ho amato l’anarchia.

una favola bovese, tratta dal libro di Giovanni Andrea Crupi:  La “glossa” di Bova


Απόσπασμα από το βιβλίο του Giovanni Andrea Crupi  από τη γκλόσσα του Βούα

Η ελιά με τα σπασμένα κλαδιά

I alèa me ta cladìa clamèna (λ’ αλέα με τα κλαντία κλαμένα)

Σ΄ένα κοράφι αργκό (: ακαλιέργητο)  μαν αλέα έκλε (:έκλαιγε) κρυφά κρυφά.
Το αγριddακι* (:αγριελαιάκι/ αγριελιά) την ήκουε αν ντι φράστη (φράχτη) και την αρώτηε: “Λέντα μου (πες μου) τι έχει και κλαίει?
“Τι έχω;” Δε θωρεί τι έχω; Έχω όλα τα κλαδιά κλαμένα (:σπασμένα).
Μα τι τος έκανα εγκώ τος ανθρώπο τσε κάτε χρόνο με έρκονται και με ραddισουσι (:ραβδίζουν);
Τι τος έκανα για να μου κάμου τόσα πιτίμια (: επιτίμια/ τιμωρίες);
Παddεκα, αρωτάει τι τος έκαμε; Τους έκαμε βιάτα** ( :πάντα) με ποddες (:πολλές) αλέε (: ελιές)

Μεταφορά με λατινικούς χαρακτήρες (Pasquale Casile)
Se ‘na cchorafi argò man alèa megàli ècle crifà crifà. T’agriddàci tin ìcue an di ffràsti ce tin aròtie: “Leddàmu ti echi ce clèi?”. “Ti echo? De cchorì ti echo ala ta cladìa clamèna! Ma ti tos ècama ‘gò tos athròpo ce catàchrono èrkonde ce me raddìzzusi? Ti tos ècama ja na mu camu tossa pitìmia?”. “Paddèca, aròtai ti tos ècame! Tos ècame viàta poddès alèe!”.

L’ulivo coi rami spezzati
In un campo incolto un ulivo secolare piangeva sommessamente. Un oleastro lo sentì dalla siepe e gli chiese: “Fratello mio, che hai che piangi?”. “Che cos’ho? Non vedi che ho tutti i rami spezzati! Ma che cosa ho fatto io agli uomini che tutti gli anni vengono e mi prendono a bastonate? Che gli ho fatto per meritarmi tali vessazioni?”. “Testa di legno, domandi pure che gli hai fatto! Un sacco di olive, gli hai sempre fatto!”.

Σημείωση:
*Κατά το λεξικό του Αναστάσιου Καραναστάση “Ιστορικόν λεξικό των ιδιωμάτων της Κάτω Ιταλίας, Αθήνα 1984, το “άγριddκι” είναι υποκοριστικό του ουσ. αγριddαιο και δηλώνει τη μικρή τρυφερή αγριελιά. Στο ίδιο λεξικό αναφέρεται και η παροιμία του Μπόβα, η οποία ισοδυναμεί με το δικό μας “αγαθά κόποις κτώνται”:  Αθ- θέλη να φάη αρτυμένο, κένdρω τ’ αγριddακι= αν θέλεις να φας φαγητό αρτυμένο (με λάδι) μπόλιασε την αγριελαιούλλα

** επίρρημα Βιάτα: από το Ιταλικό ιδιωματ. επίρρημα “viatu” (: αμέσως)  – G. Rohlfs, Lexikon graecanicum Italiae inferioris. Tubingen 1964- Το επίρηημα συναντάται, εκτός των άλλων, και στην παροιμία: ” Το καλό πάει βιάτα στο καλό”

η μεταφορά στην ελληνική και οι σημειώσεις είναι του Γιώργου Δαμιανού